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Carcere e minori: punizione o rieducazione?

Pochi sanno che nelle carceri italiane sono detenuti bambini senza colpa, costretti a seguire la loro madre nell’esecuzione della pena. Poi ci sono i minori in carcere. Per i quali dovrebbe valere il principio categorico della rieducazione e della cura psicologica ed emotiva dei fanciulli. Ma siamo sicuri che sia così? E, in fondo, il trattamento, a cui dovrebbero essere sottoposti loro, non è esattamente lo stesso a cui dovrebbero essere sottoposti gli adulti?

È questo il terzo articolo dedicato al rapporto di Antigone sullo stato delle nostre carceri[1]. In precedenza, avevamo dato uno sguardo ai numeri generali e alla condizione delle donne. In questo capitolo ci occuperemo di un tema ancora più drammatico della presenza: quello della presenza dei minori in carcere. Il tema è terribile, non solo perché pensare a un bambino o comunque un minore rinchiuso in un carcere è roba da brividi. Ma anche perché in questo caso non può esserci dubbio su quale debba essere lo scopo della detenzione: non tanto la punizione, quanto la rieducazione. Qui la Costituzione s’impone all’ennesima potenza.

Il tema dei minori in carcere, in verità, è duplice, cioè si biforca. Da una parte c’è il tema dei bambini che seguono la madre detenuta e che, quindi, sono detenuti non tanto per un reato che hanno commesso loro, ma perché la loro madre lo ha commesso. Dall’altra ci sono minori che hanno commesso reati e che quindi vengono rinchiusi in carceri minorili.

 

I bambini in carcere al seguito della madre

Pochi sanno che ci sono bambini che crescono in carcere, senza alcuna colpa. Vi si trovano solo ed esclusivamente perché la loro madre ha subito una condanna (ci auguriamo, non prima di una condanna, anche se non ci scommetteremmo … non abbiamo dati su questo). È una circostanza terribile: il bambino si ritrova privato della libertà per scontare la pena di qualcun altro. Come se non bastasse, tenuto conto dello stato delle nostre carceri (il sovraffollamento, senza doccia in cella, senza riscaldamento, senza acqua calda, senza spazi verdi …), la detenzione di questi bambini senza colpa è un’autentica aberrazione.

GRAFICO 1: bambini minori di 3 anni in carcere con le loro madri tra il 1993 e il 2022 (Fonte: Antigone, XIX rapporto sulle condizioni di detenzione, 2023 – sul sito di Antigone è possibile consultare una versione interattiva)

 

Come si può notare dal grafico, negli ultimi tempi il loro numero è drasticamente calato. Ma ci sono stati momenti in cui nelle carceri italiane c’erano oltre 70 bambini rinchiusi in carcere al seguito delle loro madri. Lo scorso anno abbiamo raggiunto un minimo assoluto di 17 bambini. In ogni caso, anche uno solo è troppo. Non si capisce come un bambino di età inferiore a 3 anni possa ritrovarsi rinchiuso in una galera. Davvero non è possibile concedere a queste madri una forma di detenzione alternativa al carcere? Davvero non è possibile consentire al bambino di stare accanto alla madre senza imporgli la crescita in un ambiente malsano e assolutamente diseducativo come il carcere? Forse siamo dei trogloditi noi che pensiamo che sia assolutamente inumano e aberrante che uomini delle istituzioni dello Stato Italiano non sappiano offrire altra alternativa a questi bambini e alle loro madri?

Torniamo a rilanciare il gigantesco appello di Alberto Sordi nel film Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy del 1971 (oltre 50 anni, film attualissimo!): “ma com’è possibile che potete fare quello che fate?”

 

Minori colpevoli di reato

Se la reclusione di bambini senza colpa è un’aberrazione che consideriamo inaccettabile, la questione dei minori colpevoli di reato è palesemente diversa e dannatamente più complicata. Al 15 marzo 2023 c’erano reclusi nelle carceri minorili (i cosiddetti Istituti Penali per Minorenni, IPM) 380 ragazzi, di cui solo 12 ragazze. Ad essi si aggiungono 200 giovani adulti, cioè maggiorenni tra i 18 e i 25 anni che, tuttavia, avevano commesso un reato da minorenni. Quasi la metà di questi ragazzi, il 46,8%, sono stranieri. Con la pandemia il numero di minori rinchiuso in queste carceri speciali, se così le vogliamo chiamare, era un po’ diminuito, ma ora sta gradualmente tornando a salire.

Peraltro, gli istituti per minori sono numericamente piuttosto pochi, sedici in tutto il territorio nazionale e distribuiti in modo disomogeneo. Nelle Marche, per esempio, non ce ne è neanche uno. Quindi, ragazzi di questa regione che devono essere portati in questi centri saranno, nella migliore delle ipotesi, portanti in Emilia Romagna o in Toscana o nel Lazio. Il rapporto non ne parla, ma evidentemente ciò comporta che i ragazzi vengono spesso allontanati dai luoghi in cui abitavano al momento del reato, per poter essere reclusi in questi istituti.

GRAFICO 2: presenza media negli istituti penali per minori tra il 2008 e il 2022 (Fonte: Antigone, XIX rapporto sulle condizioni di detenzione, 2023 – sul sito di Antigone è possibile consultare una versione interattiva)

 

Il problema di fondo della detenzione di minori colpevoli di reato

Il caso di questi minori è, in qualche modo, lo specchio di tutto il problema carcere. Nessuno, osiamo sperare, negherebbe che questi ragazzi o sono cresciuti in un ambiente di grande disagio oppure soffrono di patologie psicologiche. Il loro comportamento è pericoloso per la società (e spesso anche per se stessi), circostanza che impone una qualche forma di protezione della società. D’altra parte, la patologia dell’ambiente educativo da cui provengono oppure le alterazioni psicologiche di cui soffrono comportano che questi ragazzi hanno bisogno di qualcuno che si occupi di loro: della loro educazione e della cura delle loro patologie. La reclusione, palesemente, non può essere la soluzione: protegge la società (forse), ma quando questi ragazzi usciranno, saranno quelli di prima, se non peggio.

Questi ragazzi hanno bisogno di cure e di essere, gradualmente e con attenzione, riportati a contatto con la società, affinché vi trovino un proprio spazio in cui vivere a proprio agio e in serenità.

… e, in fondo, diciamocelo: se questo è evidente nel caso di un ragazzo, non è, alla fine, vero anche per un adulto? E dunque, non vale, forse, per tutta la popolazione detenuta?

Il rapporto di Antigone, tuttavia, fa emergere una serie di criticità relative al trattamento che questi ragazzi subiscono negli istituti penitenziari per minori. Anzitutto, si osserva che, se il numero di ragazzi detenuti in questi centri nel corso della pandemia è stato inferiore, senza che ci fossero sconvolgimenti nel mondo, è gioco forza constatare che forse non tutte le detenzioni sono necessarie: la costrizione del covid ha dimostrato che il ricorso a questi istituti può essere in larga parte limitato ai soli casi più gravi e assolutamente necessari. Negli altri, trovare forme di detenzione alternative è possibile. Anzi, doveroso.

 

Criticità nel trattamento

Tuttavia, ci sono nel rapporto segnali decisamente più allarmanti. Anzitutto, in prevalenza (il rapporto parla di una percentuale prossima all’80%) i ragazzi reclusi sono in custodia cautelare: sono, cioè, ragazzi rinchiusi senza processo, in molti casi senza neppure una prima sentenza di condanna. Il rapporto non dice quanti di essi vengono riconosciuti colpevoli dal tribunale, ma al riguardo abbiamo molta paura. Peraltro, meno del 20% è rinchiuso in questi istituti per reati contro la persona, cioè i reati più gravi: circa il 60% lo è per reati contro il patrimonio, cioè reati meno gravi. La detenzione dovrebbe essere la misura più estrema di pena per un reato penale.

A maggior ragione dovrebbe esserlo per un minore. Siamo sicuri che sia proprio così? Antigone osserva che “il sistema, il quale nel complesso ha funzionato nell’intento di rendere residuale il ricorso al carcere, lo ha fatto meglio per alcuni e peggio per altri: meglio per chi aveva maggiori garanzie relazionali anche prima del reato, peggio per chi ne aveva di meno.” Una dimostrazione viene dal fatto che “più la misura è contenitiva, maggiore è la percentuale dei ragazzi stranieri.” In altri termini, in questi istituti ci finisce soprattutto che è meno integrato, chi non ha una famiglia che lo sostenga, chi vive, in qualche modo, una situazione di segregazione reale o percepita. È la più limpida dimostrazione che chi è recluso in questi istituti ha anzitutto bisogno di sostegno e di aiuto.

 

Accesso all’educazione

Invece, è impressionante il passaggio del rapporto dedicato alla creazione di un ambiente educativo per questi ragazzi: “Le norme sull’ordinamento penitenziario minorile introdotte nel 2018 sono a oggi ancora applicate solo in parte. Gli istituti si sono adeguati in maniera disomogenea alla previsione che introduceva le visite prolungate, da effettuarsi in locali il più possibile simili a ordinarie abitazioni. In alcune carceri non si sono mai effettuate per mancanza di spazi, in altre vi è stato qualche tentativo, solo in poche si è vista una maggiore costanza. Le sezioni a custodia attenuata, che si sperava potessero imporsi quale modello principale di vita detentiva, sono sostanzialmente inesistenti. E comunque non sono state intese con l’ampiezza di vedute che si sperava: un intervento di sistema, capace di aprire il carcere al territorio esterno, facendo uscire i ragazzi in raccordo con il mondo della scuola, della formazione, del lavoro, dell’assistenza sanitaria, dei servizi sociali territoriali, immergendoli così in un contesto di normalità.

Anche la singola previsione esplicitata dall’art. 18 della riforma, per il quale i ragazzi sono ammessi a frequentare corsi di istruzione e di formazione sul territorio, è quasi del tutto disattesa per quanto riguarda la scuola e lo è poco meno per la formazione professionale. Di recente, per fare un esempio, di fronte al caso di una singola persona da inserirsi in un percorso di istruzione, ci è stato detto semplicemente che la classe non poteva venire attivata, senza che neanche si considerasse la possibilità di farla accedere a un percorso scolastico esterno.” Non parliamo del fatto, denunciato dal rapporto, che spesso questi ragazzi sarebbero sopposti alla sanzione dell’isolamento, oppure trattati con psicofarmaci che procurano dipendenza e inducono, quindi, comportamenti violenti.

 

Conclusioni

La presenza di minorenni in carcere è uno dei più complessi problemi a cui si possa pensare. E, per molti aspetti, lo specchio limpido del problema del carcere. Da una parte c’è il problema dei bambini che seguono le proprie madri in carcere. Si tratta di una circostanza che sta divenendo, per fortuna, ormai rarissima, ma che dovrebbe assolutamente scomparire dal nostro sistema penitenziario.

Dall’altra, più complessa, è la questione della gestione dei giovanissimi che finiscono in istituti per minori. Non può esserci dubbio che in questi casi l’imperativo categorico è la rieducazione e la cura. Questi ragazzi hanno bisogno di essere seguiti da un punto di vista psicologico, hanno bisogno di un supporto emotivo, hanno bisogno che siano introdotti nel mondo della scuola e di una sana socializzazione. È aberrante pensare che, anche per uno solo di questi ragazzi, tutto ciò non avvenga.

Invece, dal rapporto di Antigone emergono segnali inquietanti sul trattamento di questi ragazzi. Dovrebbe, invece, accadere il contrario. Che il loro trattamento, basato sulla cura psicologica ed emotiva, sull’educazione e sull’istruzione, divenisse modello anche per il trattamento degli adulti.

Perché, in fondo, le criticità dei fanciulli in carcere sono esattamente le stesse degli adulti.

 

© L’Irriverente, 2023

 

 

 

 

[1] Il rapporto è liberamente consultabile sul sito dell’Associazione Antigone (www.antigone.eu) all’indirizzo https://www.rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/.

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