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La Festa della Repubblica: ricorrenza di pacificazione e di unità del popolo italiano

Il 2 giugno 1946, con il referendum istituzionale e l’elezione dell’Assemblea Costituente, il popolo italiano, dopo anni di laceranti divisioni, ritrovò l’unità nelle prime elezioni a suffragio universale della sua storia.

Tra le ricorrenze civili, la Festa della Repubblica è probabilmente quella che preferisco. È priva di quella stucchevole retorica, dietro la quale si nascondono spesso mezze verità storiche e rimasugli ideologici stantii. La Festa della Repubblica è limpida nel suo significato e il suo valore storico credo non sia messo in discussione da nessuno.

Il 2 giugno 1946 l’Italia si lasciava davvero alle spalle 20 anni di una dittatura piena di prosopopea e che si era rivelata un pallone gonfiato, oltre alle aberrazioni che tutte le dittature portano con sé. Ma si lasciava alle spalle anche 5 anni di guerra, di cui due combattuti nel proprio territorio, con bombardamenti che l’avevano rasa al suolo. E soprattutto, si lasciava alle spalle quasi due anni di guerra civile, che avevano letteralmente lacerato il Paese: italiani contro italiani, famiglie contro famiglie, padri contro figli, fratelli contro fratelli …

 

Il referendum istituzionale

Il 2 giugno 1946 quelle lacerazioni si ricomposero. Quasi il 90% della popolazione italiana (l’89,08%, per la precisione) si recò alle urne, per esprimere per la prima volta il voto a suffragio universale. Una percentuale, rispetto alla quale l’attuale 60% di votanti fa letteralmente rabbrividire. Era una popolazione prevalentemente contadina, con una percentuale di analfabetismo che molto probabilmente sfiorava il 15%. Eppure, pressoché tutti andarono a votare.

L’esito del voto non fu così netto come oggi si potrebbe pensare: la scelta repubblicana prevalse solo con il 54,3% dei voti, contro il 45,7% della monarchia. Anche la distribuzione territoriale dei voti mostra come il voto repubblicano prevalse nelle regioni centrali, con una prevalenza della monarchia nelle regioni meridionali e un voto più distribuito in quelle settentrionali. Nonostante alcuni episodi violenti di fazioni monarchiche che contestavano brogli, alla fine fu lo stesso Umberto II ad accettare pacificamente l’esito del referendum e ad abbandonare il Paese.

Esito del referendum del 2 giugno 1946
La distribuzione del voto nei comuni italiani per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 (Fonte: Wikipedia; opera propria di Thern, con copyright Creative Commons CC BY-SA 4.0; la versione originale della mappa può essere consultata al seguente link)

 

Il voto dell’Assemblea Costituente

Insieme al referendum, si votò per scegliere i membri dell’Assemblea Costituente. Anche l’esito di questo voto, guardato con gli occhi di oggi è piuttosto sorprendente. Il partito che ottenne più voti fu certamente la Democrazia Cristiana (35,2% dei voti). Ma dietro a lei non arrivò, come si potrebbe penare, il Partito Comunista di Togliatti (fermo al 18,9% dei suffragi, cioè meno del 20%), ma il Partito Socialista di Nenni, che allora si chiamava Partito Socialista di Unità Proletaria (con il 20,7% dei voti).

Distribuzione dei voti all'Assemblea Costituente
La distribuzione dei voti all’Assemblea Costituente (Fonte: Wikipedia)

 

Il dilemma dell’Assemblea Costituente

Anche la storia dell’Assemblea Costituente è una delle pagine più belle della nostra storia recente. Una storia, anch’essa, che si contrappone ai terribili anni che la precedono. Per noi oggi è quasi scontato ciò che è accaduto. Ma al tempo non lo fu per nulla. Il Partito Comunista e il Partito Socialista (che insieme sfioravano il 40% dei componenti dell’Assemblea) erano in quel momento partiti stalinisti, che da anni, già prima della guerra, venivano finanziati da un regime oppressivo, liberticida e sanguinario. Essi, in quel momento, si presentavano come gli alfieri di quel regime nel nostro Paese. E, per gli altri partiti, essi costituivano motivo di grande preoccupazione. In tutti i Paesi che erano caduti sotto l’influenza sovietica, mentre in Italia si votava per l’Assemblea Costituente, tutti i partiti comunisti stavano procedendo all’eliminazione fisica di qualunque forma di pensiero che non fosse quello comunista. Chi poteva garantire che, nel caso fossero saliti al potere, il Partito Comunista e il Partito Socialista non avrebbero fatto lo stesso? Quando parlavano di democrazia e di libertà a che cosa alludevano? Forse a ciò che stava accadendo in Polonia? O in Cecoslovacchia? O in Bulgaria? E quale sarebbe stato il loro contributo nel creare uno Stato davvero libero, davvero democratico, secondo la concezione di Giuseppe Mazzini o di John Stuart Mill? Il dubbio non era peregrino. E per le forze politiche non comuniste o socialiste riguardava addirittura la loro stessa esistenza.

 

L’Assemblea Costituente come esempio di unità del Paese

Nonostante tutti i timori, lo spirito di unità dopo la lacerazione prevalse. Tutti i componenti dell’Assemblea (democristiani, comunisti, liberali), tutti misero, di fatto, da parte i pregiudizi ideologici e le posizioni barricadiere, superarono gli steccati che li separavano, evitarono, in prevalenza, un atteggiamento di contrapposizione di parte. Anche questa volta, come in occasione del referendum, si unirono, con uno spirito di ascolto delle ragioni reciproche. Lo scopo fu quello di elaborare un testo, che non fosse tanto un compromesso tra posizioni contrapposte, ma una conciliazione che ascoltava tutte le ragioni. Perché tutte portavano argomenti, che meritavano ascolto.

Il risultato non fu certo la Costituzione più bella del mondo, come ogni tanto si sente enfaticamente dichiarare. Ma certamente, da un punto di vista istituzionale, fu un gigantesco passo in avanti della storia del nostro Paese.

Quanto avremmo bisogno oggi di quello spirito, dell’ascolto e del reciproco rispetto che caratterizzò quei giorni! Di esso trasuda la nostra carta. Ma di esso si vede davvero ben poco, oggi, nelle istituzioni e nel sistema dell’informazione.

 

© L’Irriverente, 2023

 

 

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