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Prezzo del gas: una crisi provocata da un beffardo scherzo del destino?

Perché il prezzo del gas negoziato in una borsa di Amsterdam sta mandando in crisi l’approvvigionamento energetico di un intero continente? Alla base non centrano le guerre o i beffardi arbitri del Fato, ma solo l’improntitudine di un’intera generazione di ceti dirigenti improvvidi e sciagurati.

La crisi del prezzo del gas provocata, apparentemente, dalla guerra di aggressione della Russia all’ Ucraina, ha reso diffusi una serie di termini specialistici, tipici di chi si occupa dell’industria del gas, ma ora divenuti ricorrenti sui giornali e nelle televisioni. In questo articolo cercheremo di approfondire come si forma il prezzo all’importazione del gas e come esso incide sulle bollette degli italiani. Scopriremo così che il nodo scorsoio intorno al collo l’Europa se l’è legato da sola, grazie alla decennale inettitudine dei suoi ceti dirigenti. Come è possibile, infatti, che sia sufficiente che un paese, per quanto grande e potente, invada un paese confinante, per quanto non marginale, perché l’Europa intera sprofondi in una delle più devastanti crisi energetiche della sua storia?

 


INDICE
  1. L’approvvigionamento di gas e le bollette degli italiani
  2. Che cosa è la borsa TTF e come funziona
  3. La follia di un non-mercato appeso a un annuncio
  4. Il disastro di ceti dirigenti allo sbando
  5. Conclusione

 
 
 
1. L’approvvigionamento di gas e le bollette degli italiani

Meno del 5% del gas che consumiamo è prodotto in Italia. La quasi totalità, dunque, è importata dall’estero. Per questa ragione, il prezzo del gas pagato dalle famiglie e dalle imprese dipende, tra l’altro, dal suo costo d’importazione. Quando l’Autorità Regolatoria in materia, l’ARERA, ogni tre mesi, definisce il prezzo del gas per la cosiddetta Tariffa di Maggior Tutela, tiene conto anche di una componente, chiamata CMEM, che intende coprire proprio i costi di approvvigionamento all’ingrosso del gas. Il prezzo del gas della Tariffa di Maggior Tutela costituisce poi un riferimento per tutti gli operatori del settore. Pertanto, si tratta di un costo che impatta su tutte le tariffe di gas delle famiglie italiane. E un discorso analogo, ovviamente, si applica anche alle tariffe industriali.

FIGURA 1 – I principali paesi da cui derivano le importazioni di gas in Italia nel 2021 e le quantità importate in G(metricubi) (Fonte: L’Irriverente su dati pubblicati nella Relazione Annuale 2021 di ARERA)

 
 
 
Le caratteristiche dei contratti d’importazione di gas

Questo costo di approvvigionamento è determinato dai contratti che le aziende importatrici stipulano per portare il gas in Italia. Le aziende importatrici sono qualche decina, ma quasi la metà del gas acquisito dall’estero è importata da un solo importatore, Eni; un altro 15% da un secondo importatore, Edison; un ulteriore 33% è gestito da una ventina di aziende, lasciando quindi una quota irrisoria a piccoli importatori. Le aziende stipulano accordi con produttori di paesi stranieri che estraggono gas. I contratti hanno una durata lunghissima, in prevalenza: quelli attivi nel 2021 avevano per quasi il 60% una durata di oltre 25 anni, anche se meno della metà aveva una durata residua di più di 10; e solo il 12% dei contratti stipulati aveva una durata inferiore all’anno[1].

GRAFICO 1: La durata dei contratti d’importazione di gas in Italia attivi nel 2021 (Fonte: L’Irriverente su dati della Relazione Annuale ARERA 2021, volume 1)

 

Con durate così lunghe, questi contratti definiscono prezzi cosiddetti indicizzati, cioè che variano nel tempo con il mutare delle condizioni di mercato. Si sceglie allora un valore di riferimento che sia in qualche modo pubblico, capace di rappresentare i prezzi di mercato, e si fa variare il prezzo del contratto al variare di quel valore secondo una formula concordata. Tipicamente, per i contratti d’importazione del gas in Europa, viene preso a riferimento il prezzo praticato in una borsa specifica che si trova ad Amsterdam, la cosiddetta TTF. È per questa ragione che, per comprendere che cosa sta accadendo al prezzo del gas, è necessario capire che cosa accade ad Amsterdam.

 

GRAFICO 2: Durata residua dei contratti d’importazione di gas in Italia attivi nel 2021 (Fonte: L’Irriverente su dati della Relazione Annuale ARERA 2021, volume 1)

 

 
 
 
2. Che cosa è la borsa TTF e come funziona

L’acronimo TTF sta per Title Transfer Facility, cioè Servizi per il trasferimento di titoli. In questa borsa si negoziano cosiddetti contratti spot e futures. I contratti spot regolano una compravendita immediata di gas, cioè a breve o brevissimo termine (solitamente la consegna è prevista per il giorno successivo). I futures, invece, regolano una compravendita spot nel futuro, cioè un acquisto che si fa a prezzi determinati oggi, ma che si concluderà con la consegna del gas a distanza, solitamente, di alcuni mesi. Chi interviene nella borsa sono operatori del gas (estrattori o distributori), intermediari commerciali (i cosiddetti trader) e banche (tra le altre, Goldman Sachs e Morgan Stanley, per fare qualche esempio), 148 soggetti in tutto. La dimensione della borsa è relativamente piccola: questa estate vi si sono scambiati alcuni miliardi di metri cubi di gas, per un controvalore di 5-6 miliardi di euro. Appena di là dalla Manica, a Londra, tanto per fare un esempio, alla borsa del petrolio Brent, di miliardi se ne scambiano 2mila, in un solo giorno. Secondo alcune stime, quanto scambiato ad Amsterdam copre sì e no il 3-4% del fabbisogno europeo di gas.

 
 
 
I limiti del prezzo del gas negoziato nella borsa TTF

Il prezzo del gas del TTF è il riferimento per tutto il gas che si importa in Europa, tuttavia, è evidente che soffre di una serie di limiti che lo rendono estremamente critico, limiti che in questo momento stanno emergendo con tutte le loro più nefaste conseguenze. Anzitutto, si tratta di una borsa speculativa: il gas che viene effettivamente venduto e acquistato ad Amsterdam è una porzione minimale rispetto a quello importato in Europa (che è gestito quasi interamente da contratti a lungo termine); i contratti futures, peraltro, sono una scommessa nel futuro, perché chi acquista oggi, per esempio, a un prezzo stabilito oggi per una quota di gas che ritirerà domani … evidentemente si aspetta che domani quel gas gli costerebbe di più …; infine, c’è la presenza nel mercato di soggetti a cui non interessa punto di comprare o vendere gas, come i soggetti finanziari, i quali operano sul mercato al puro scopo di ottenere guadagni sui prezzi: vendere quando i prezzi sono alti e acquistare quando sono bassi. Che cosa si acquisti o che cosa si venda, sia esso gas, noccioline o francobolli, per loro non ha alcuna importanza.

 
 
 
L’incoerenza tra il prezzo TTF e i contratti a lungo termine

La scelta di adottare i prezzi TTF per i contratti di approvvigionamento del gas si sta dimostrando mostruosamente disastrosa per una serie di ragioni:

  • I contratti del TTF sono a breve o brevissimo termine, mentre quelli in cui il prezzo viene utilizzato come parametro sono a lungo o lunghissimo termine: è come stabilire il prezzo delle banane sulla base di quello delle cipolle … semplicemente, non ha senso;
  • Il prezzo del TTF, in verità, non esprime un equilibrio tra la domanda e l’offerta di gas (come dovrebbe accadere in un mercato concorrenziale), ma un prezzo sostanzialmente speculativo, cioè influenzato in prevalenza da soggetti che non hanno alcun interesse nel prodotto, perché il loro interesse è solo di speculare sull’andamento del suo prezzo. Il risultato è che il prezzo che si forma spesso non deriva dall’incontro tra domanda e offerta, ma è determinato dalle aspettative speculative di soggetti che né domandano né offrono e che, con le loro aspettative, deformano l’una (la domanda) e l’altra (l’offerta);
  • la limitatezza del mercato non solo espone a maggior ragione il prezzo alle pressioni speculative, ma lo rende sostanzialmente non rappresentativo dell’effettivo stato del mercato.

In conclusione, sta ormai emergendo in modo drammatico quanto scellerata e priva di visione sia stata la scelta di vincolare i contratti di approvvigionamento a lungo termine a un parametro non rappresentativo del mercato e soggetto alle volubilità della speculazione finanziaria.

 

 
 
 
3. La follia di un non-mercato appeso a un annuncio

Particolarmente grave, per le conseguenze che comportano, sono le limitate dimensioni del mercato. Il punto è che il basso numero di operatori e l’esiguo valore complessivo degli scambi rende la borsa TTF facilmente vulnerabile agli interessi di singoli operatori. E questo è proprio ciò che sta accadendo in questo momento: è sufficiente che Gazprom annunci la chiusura temporanea di un gasdotto, perché ad Amsterdam tutti impazziscano. Se domani c’è meno gas, per i contratti spot a consegna immediata ci sarà più domanda che offerta; allora il prezzo del gas salirà; “quindi è meglio che io acquisti adesso per vendere domani”, pensa lo speculatore; la domanda, così, aumenta subito e il prezzo del gas sale immediatamente, prima ancora che l’offerta sia calata effettivamente.

La conclusione è che a Gazprom è sufficiente un annuncio per ottenere ad Amsterdam prezzi spot a lei favorevoli. E quel che è pure peggio, è che quei prezzi sgangherati si ribaltano anche sui contratti a lungo termine, quelli che regolano la stragrande maggioranza delle importazioni in Italia e in Europa. E poiché il prezzo del gas d’importazione incide sul prezzo del gas al consumo, un semplice annuncio di un quaquaraquà è in grado di mandare in crisi famiglie e imprese di tutta Europa. Una situazione da lasciare sbalorditi.

 
 
 
Il TTF: un mercato senza mercato

Questa circostanza fa emergere un’altra sesquipedale follia. Allestire un mercato concorrenziale come una borsa ha senso se il mercato è effettivamente concorrenziale: cioè se c’è una pluralità di soggetti, sia che offrono, sia che domandano un bene. Ma il gas trattato ad Amsterdam è quasi interamente russo: se la Russia chiude i rubinetti, non c’è sostanzialmente nessuno che possa sostituirla. Di fatto, quindi, è stato allestito uno pseudo-mercato concorrenziale là dove sussiste un sostanziale monopolio. E così oggi Gazprom, il monopolista, si può permettere di giocare coi rubinetti e con la bisca di Amsterdam a proprio piacimento, come se fosse una fila di birilli al bowling.

FIGURA 2: Paesi di provenienza e quantità (in miliardi di metri cubi) delle importazioni di gas naturale nell’UE (Fonte: L’Irriverente su dati dell’EU Energy in figures della Commissione Europea)

 

Il punto è che il mercato è una cosa seria. Trattare come un mercato ciò che non lo è, solo perché un’accolita di banche d’affari e miliardari alla roulette possano sfogare le proprie voluttà speculative, ebbene, confondere tutto ciò come un mercato è un’aberrazione da lasciare sbigottiti. Aberrazione che, per giunta, finiscono per pagare i cittadini di intere nazioni e continenti[2].

 

 
 
 
4. Il disastro di ceti dirigenti allo sbando

La guerra di aggressione di Putin contro l’Ucraina sta facendo emergere in modo clamoroso la disastrosa gestione decennale del mercato dell’energia non solo in Italia, ma in tutta Europa. Un intero continente, quasi completamente privo di risorse energetiche (ma con sole e vento in abbondanza …), si è legato mani e piedi a un unico paese che faceva prezzi di dumping, cioè estremamente bassi, mentre vi si ammazzavano oppositori e giornalisti (Anna Politkovskaja, Boris Nemcov Andrea Tamburi, Antonio Russo … e intanto Naval’nyj è ancora in prigione …), si devastavano città in altri paesi (Aleppo in Siria), si occupavano territori altrui con metodi brutali (la Cecenia e la Crimea). E gli importatori formulavano contratti di fornitura fondati su prezzi del gas determinati in una piccola bisca per banche d’affari e miliardari che giocano allegramente alla roulette (la borsa TTF di Amsterdam, appunto).

 
 
 
La miseria della politica

In tutto questo, c’è un elemento di cui nessuno parla, ma che è tra i più cruciali. L’Unione Europea si fondò sul Manifesto di Ventotene, redatto profeticamente da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941 durante il loro confino. Il Manifesto proponeva, tra l’altro, l’unione di tutti i Paesi Europei in un unico Stato Federale. Da questa intuizione, nel 1951, con il trattato di Parigi, fu creata la CECA, la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio, concepita come primo passo verso quella federazione. I capi di Stato e di Governo Europei, cioè, capirono, allora, dopo il disastro di una devastante guerra mondiale, la necessità di porre le basi per creare un’armonia tra i loro paesi: e lo fecero a partire dall’industria pesante (l’acciaio) e dall’energia (il carbone).

Quella lezione è stata completamente dimenticata. Da decenni i governi dei paesi dell’Unione Europea, un’aggregazione (e non una federazione) di governi (e non di Stati) che bisticciano tra loro, completamente privi di un’effettiva politica energetica comune, gelosi di esercitare il proprio miserabile potere nel proprio piccolo orticello, continuano a presentarsi in ordine sparso e confuso dinanzi ai giganti del mondo, con le proprie miriadi di piccole e grandi aziende per l’acquisizione di risorse energetiche. Il loro potere contrattuale, naturalmente, è nulla rispetto a quello che avrebbero se si presentassero uniti come un’unica Europa Federata, con un unico soggetto che li rappresenta. Il giorno in cui questo ciarpame di potere politico avrà, non dico il coraggio, ma l’intelligenza di alzare gli occhi dal proprio putrido ombelico, allora scopriranno che rinunciare a un po’ del proprio piccolo potere per trasferirlo a un’entità più grande conferirà loro un potere e un prestigio, che in questo momento non sono neppure capaci di concepire o immaginare.

 
 
 
La miseria dell’industria

Ma sarebbe ingeneroso e anche troppo facile additare solo con la politica. Tante volte l’industria, quando è lungimirante, anticipa la politica, che si ritrova spesso a dover inseguire ciò che l’industria ha già realizzato. Ma i ceti dirigenti industriali, in questo caso, hanno dimostrato in questi anni almeno la stessa miseria della politica. Alla fine, i contratti li hanno fatti loro. La scelta del TTF come parametro di determinazione del prezzo è loro. La scelta dei fornitori è loro. La scelta di concentrare l’approvvigionamento in Russia, senza differenziare i propri fornitori, è loro. E l’industria europea dell’energia non ha mai manifestato la propensione a quell’unione nei confronti del mondo esterno che avrebbe fatto la sua forza. I ceti dirigenti industriali hanno invece preferito bisticciarsi il beneplacito dei giganti che avevano dinanzi e stimolato i propri governi a imbarcarsi in guerre disastrose, con la velleità di accaparrarsi di risorse altrui, il più delle volte senza combinare altro che sciagure umanitarie (qualcuno ricorda quel che fecero Francia e Inghilterra in Libia nel 2011?).

In questi ultimi mesi, quando il Presidente del Consiglio si è girato mezza Africa per cercare di rimediare al disastro della gestione energetica degli ultimi 20 anni (almeno), l’industria non era in prima fila, era al seguito. Indice che, se qualche tentativo di liberarsi dall’ingombrante ciarpame il ceto dirigente politico pare cercare di farlo, il ceto dirigente economico e industriale dà l’impressione di esserne ancora interamente immerso.

 

 
 
 
5. Conclusione

Dopo decenni di scellerata politica energetica, il 24 febbraio scorso l’Europa e l’Italia si sono risvegliate affogate nella melma. La criticità della situazione energetica e l’accentuarsi dell’inflazione che ne è seguita non sono il frutto amaro di un destino cinico e baro, ma la conseguenza quasi naturale delle scelte di un ceto dirigente, sia politico che industriale, assolutamente inetto e irresponsabile.

 
 
 
Ma come … pure quel Trump lì l’aveva visto?

Il 25 settembre 2018, dinanzi all’Assemblea Generale dell’ONU, Donald Trump, allora Presidente degli Stati Uniti, nella sua solita spocchia, affermò: “Affidarsi a un unico fornitore straniero può esporre una nazione e renderla vulnerabile all’estorsione e all’intimidazione. Per questa ragione ci congratuliamo con gli Stati Europei, come la Polonia, per aver avviato la costruzione del gasdotto del Baltico, in modo che le nazioni non dipendano più dalla Russia per soddisfare le proprie esigenze energetiche. La Germania dipenderà completamente dall’energia russa, se non cambierà indirizzo. Qui, nell’Emisfero Occidentale, siamo impegnati a conservare la nostra indipendenza dall’intrusione e dalla violazione dei diritti da parte di potenze straniere espansioniste.”[3]

Paradossalmente, Trump – proprio quello che gettava documenti nel water e che intentò una sommossa per sovvertire la democrazia americana – ebbene, proprio quel Trump lì aveva rievocato, in quell’occasione, la lezione dei Padri Fondatori dell’Unione Europea.

I ceti dirigenti italiani ed europei, tuttavia, nella loro spocchia, se ne infischiarono.

Non furono neppure capaci di vedere quello che quel Trump lì aveva visto.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

 

 
 
 
Post-scrittum: una modesta proposta

In questo momento l’Europa si affanna a trovare un modo per difendersi dalle ripicche di Putin. L’idea che si sta imponendo in queste ore è quella di porre un limite al prezzo del gas importato. Questa idea è molto supportata dalla nostra stampa nazionale, se non altro perché chi per primo propose questa idea fu il nostro attuale Presidente del Consiglio, Mario Draghi.

Mi permetto, per una volta, di non condividere questo giubilo. La proposta del limite al prezzo del gas ha, infatti, una controindicazione tutt’altro che marginale: è in contrasto con i contratti pattuiti. Si armerebbe quindi la controparte, la Russia di Putin in particolare, con un argomento sostanzialmente incontrovertibile.

Ci sarebbe, invece, un’altra possibilità che non intaccherebbe in alcun modo quei contratti e che porrebbe semmai la controparte nella condizione di doverli violare. È quella di chiudere le negoziazioni nella borsa di Amsterdam in caso di eccesso di rialzo del prezzo. Si tratta di una misura presente in pressoché tutte le borse del mondo, ma che in questo momento ad Amsterdam non si applica.

Il problema è: quali interessi colpirebbe un’iniziativa simile? Forse è per non ferire quegli interessi che nessuno la sta proponendo?

 

Grafici e figure realizzati in Tableau Public
© 2022 L’Irriverente

 

 

[1] I dati sui contratti di approvvigionamento di gas in Italia sono tratti dalla relazione annuale di ARERA del 2022 (scaricabile dalla seguente pagina del sito di ARERA: https://www.arera.it/it/relaz_ann/22/22.htm) e dal Monitoraggio dei contratti di approvvigionamento destinati all’importazione di gas in Italia, trasmesso da ARERA al Governo e al Parlamento il 14 giugno 2022 (scaricabile dalla seguente pagina del sito di ARERA: https://www.arera.it/it/com_stampa/22/220614.htm).

[2] In verità, questo tipo di pseudo-mercati si trova un pò in tutto l’Occidente e per ogni tipo di bene, dai prodotti energetici a quelli alimentari. Roba che dovrebbe far tremare le vene ai polsi di qualunque persona di medio senno.

[3] Le parole originali del discorso di Trump sono le seguenti: “Reliance on a single foreign supplier can leave a nation vulnerable to extortion and intimidation. That is why we congratulate European states, such as Poland, for leading the construction of a Baltic pipeline so that nations are not dependent on Russia to meet their energy needs. Germany will become totally dependent on Russian energy if it does not immediately change course. Here in the Western Hemisphere, we are committed to maintaining our independence from the encroachment of expansionist foreign powers”. (Traduzione nell’articolo dell’Irriverente).

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