Proseguiamo la serie di articoli dedicati al rapporto di Antigone sullo stato delle nostre carceri[1]. In un precedente articolo abbiamo illustrato i numeri generali. Qui vogliamo affrontare un tema specifico: quello della detenzione femminile.
Le donne recluse in carcere in Italia sono un’assoluta minoranza. Negli ultimi 30 anni non hanno mai raggiunto le 3.000 presenze, cioè sono sempre state meno del 6% dell’intera popolazione detenuta. Anzi dal 1993 è stata addirittura stabilmente sotto la soglia del 5%. Questo dato è sintomo di una minore propensione a delinquere delle donne (dato che trova riscontro in tutto il mondo), che si riflette anche nel fatto che, a causa dei reati di minore gravità ad esse imputati, alle donne viene concessa più frequentemente una forma di detenzione alternativa al carcere (come, per esempio, gli arresti domiciliari).
Tuttavia, paradossalmente, la scarsa presenza di donne in carcere pone un problema ulteriore alle donne che vi vengono recluse. Le strutture carcerarie, infatti, si dimostrano assolutamente inadeguate alle necessità di una donna. D’altra parte, sono strutture concepite da uomini, per gli uomini e solitamente gestite da uomini. Un semplice esempio, ma già illuminante, rilevato nello scorso articolo è che oltre la metà delle celle è priva di doccia. In questi casi, una donna può lavarsi solo in ambienti comuni e solo quando le è consentito uscire dalla cella. Una circostanza che comporta certamente, per una donna, soprattutto nel periodo del ciclo, uno stato di disagio fisico terribile.
Carceri femminili e sezioni femminili
In Italia, attualmente, ci sono solo 4 carceri femminili, in cui sono detenute 612 donne. Considerato che le donne in detenzione sono circa 2.400, è evidente che si tratta di un’inezia, rispetto a una popolazione carceraria di oltre 50.000 persone. La stragrande maggioranza delle donne, quindi, è detenuta in carceri a prevalenza maschile, in cui viene creata una sezione femminile. Ma spesso il loro numero è esiguo (19 a Sassari, 13 a Reggio Emilia, 12 a L’Aquila, 4 a Mantova, 3 a Barcellona Pozzo di Gotto), percui la stessa struttura carceraria non è in condizione di organizzare attività o forme di assistenza specifiche di cui queste persone avrebbero bisogno.
Il risultato è che, come osserva il rapporto, queste donne vivono “in uno stato di sostanziale abbandono, non vedendosi destinata l’attenzione specifica che necessiterebbero”. D’altra parte, se le donne fossero concentrate in poche strutture, in molti casi dovrebbero essere allontanate dai territori di origine. Pertanto, come spiega il rapporto, “ben più facile e incisivo sarebbe il prevedere che le donne potessero prendere parte a quelle stesse attività diurne che vengono organizzate per gli uomini, anche in ottemperanza a uno dei principi fondamentali tanto delle Mandela Rules delle Nazioni Unite quanto delle European Prison Rules del Consiglio d’Europa che vuole la vita in carcere il più possibile somigliante alla vita esterna. Più di una volta, durante le nostre visite a carceri che ospitavano donne, ci siamo sentiti dire dalla direzione che i piccoli numeri delle sezioni femminili non permettevano l’organizzazione di classi scolastiche o di corsi di formazione professionale. Si fatica tuttavia a comprendere per quale motivo donne e uomini non possano in carcere frequentare la stessa classe di studio, e tale tabù sia così radicato da preferirgli la violazione di un diritto tanto fondamentale quale quello all’istruzione.”
Il sovraffollamento delle carceri femminili e disagi psichici
In questo contesto diviene paradossale il dato del sovraffollamento delle carceri femminili (il dato relativo alle sezioni femminili di carceri misti non è misurabile): siamo al 118,4%, cioè la popolazione carceraria supera del 18,4% il numero massimo di posti disponibili. Il paradosso sta nel fatto che il sovraffollamento dell’intero sistema carcerario è del 110,6%, cioè inferiore rispetto a quello femminile. Ciò significa non solo che le donne in carcere sono di meno, ma vivono, incredibilmente, in carceri più affollate, quindi con un minor spazio personale. Un autentico delirio.
Al dato sul sovraffollamento, già indice di condizioni peggiori per le donne rispetto agli uomini, si aggiunge il dato dei disagi psichici. Il 12,4% delle donne detenute soffre di diagnosi psichiatriche gravi, contro il dato complessivo del 9,2%. Le donne che fanno regolarmente uso di psicofarmaci sono addirittura il 63,8% (quasi i due terzi), contro il dato complessivo del 41,6% (cioè, meno della metà). Negli istituti maschili gli atti di autolesionismo riguardano il 15% dei detenuti, mentre tra le donne è il doppio, 30,8%.
Conclusioni
Le carceri sono palesemente luoghi non a misura di donna, che le donne soffrono assai più intensamente degli uomini e che comportano loro disagi fisici e psicologici spaventosi. Se la privazione della libertà è già di per sé una pesantissima costrizione, alle donne tale pena viene ulteriormente aggravata da condizioni per loro assai più difficili da sopportare rispetto agli uomini. Come se non bastasse, pur essendo di meno, le donne devono sopportare un sovraffollamento maggiore. E il fatto di essere poche diviene una scusa per negare loro la possibilità di lavorare, di istruirsi o di fare in modo che il tempo del carcere divenga, almeno un pizzico, produttivo per sé e per gli altri. Non è un caso che tale circostanza comporti una maggiore propensione anche al disagio psicologico. Una pena nella pena, che è pena che si accumula a pena. Ma che nessun giudice a sancito.
E tutta quella pletora di saltimbanco che si riempie la bocca dei diritti delle donne, dov’è? Dove sono tutti gli sbraitatori e le sbraitatrici della difesa contro la violenza sulle donne? Voltano forse la faccia dall’altra parte?
… Ah, certo, qui stiamo parlando di donne che la devono pagare … no?
© L’Irriverente, 2022
[1] Il rapporto è liberamente consultabile sul sito dell’Associazione Antigone (www.antigone.eu) all’indirizzo https://www.rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/.
GIPHY App Key not set. Please check settings