In occasione della commemorazione della strage di Bologna del 2 agosto del 1980 si sono scatenate polemiche sorprendenti, ma anche illuminanti sulla qualità della comunicazione che infesta il nostro paese.
La matrice fascista e la libertà di espressione
Una delle polemiche più esagitate è derivata dal fatto che il Presidente del Consiglio si è limitata a parlare di “terrorismo”, senza evocare la “matrice fascista”. Lo hanno fatto il Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato e il Presidente della Camera. Se le tre più alte cariche del Paese sono convinte di quanto hanno detto, hanno fatto bene a dirlo. Ma se lo avessero detto per “garbo istituzionale”, allora, secondo me, avrebbero fatto meglio a esprimersi in modo diverso. E se il Presidente del Consiglio non crede alla “matrice fascista”, ha fatto bene a esprimersi come si è espressa. In fondo, quello che ha detto è inoppugnabile e universalmente condiviso. Si chiama “libertà di pensiero”: chiunque, qualunque carica ricopra, ha tutto il diritto di dire ciò che crede e come crede; non c’è Presidente di Regione o esponente di partito, associazione o istituzione che può imporre agli altri parole che non pensano. Che lo pretendano è aberrante.
Nel caso in specie, peraltro, mentre sono tutti concordi che la strage di Bologna fu in atto terroristico, la “matrice fascista” è tutt’altro che dato incontrovertibile. Il 3 agosto Piero Sansonetti (sfido chiunque a definirlo fascista!), direttore de L’Unità, proprio dalle colonne de L’Unità, ha definito la strage di Bologna una “strage di Stato”, imputabile al partito della Democrazia Cristiana! Qualcuno vuole forse zittire pure lui?
Le conclusioni delle sentenze
Cerchiamo allora di chiarire il quadro. Le sentenze passate in giudicato hanno condannato una serie di esponenti dell’estremismo di destra quali esecutori della strage. Tutti si sono sempre dichiarati innocenti. Alcuni di loro erano meno che ventenni il giorno della strage. Già all’epoca dalle sentenze, furono in molti a esprimere perplessità sull’effettiva colpevolezza dei condannati[1]. L’aspetto più significativo è che in tutte le sentenze sono stati condannati gli esecutori, senza che si facesse mai alcun riferimento ai mandanti.
Altre sentenze, invece, hanno condannato funzionari dei Servizi Segreti, i quali depistarono le indagini. In questo caso, nessuno dubita della colpevolezza dei condannati, per quanto, anche qui, non ci sia alcun riferimento ai mandanti. Mai nessun processo è stato imbastito per giudicare i sospetti mandanti della strage. Pertanto, a tutt’oggi, da un punto di vista processuale, la strage ha esecutori, depistatori, ma non mandanti.
La verità delle sentenze
Affidandosi alle sentenze passate in giudicato, pertanto, si può dire che gli esecutori della strage di Bologna furono esponenti dell’estremismo di destra, coperti da funzionari dello Stato, senza, tuttavia, che si sappia chi li ha armati, né perché.
Basta questo ad affermare che la “matrice” fu fascista? In verità, solitamente la matrice fa riferimento ai mandanti, non agli esecutori. Dal momento che i mandanti non si conoscono, anche la matrice rimane opaca. Peraltro, come osserva Sansonetti, il fatto che funzionari dello Stato si siano prodigati per depistare le indagini rende il tema della matrice assai più complesso di quanto non si vorrebbe far credere con quella bollatura di fascismo. Quando Sansonetti addita addirittura un intero partito come mandante, secondo me esagera. Ma che tra i mandanti ci siano stati esponenti di quel partito non è ipotesi poi tanto peregrina…
Il vero punto della questione: la débacle della magistratura
Alla fine, ciò che nessuno mi sembra abbia messo in rilievo è la totale débacle della magistratura. A 43 anni dalla strage, le uniche conclusioni davvero convincenti sono le condanne sui depistaggi. Sugli esecutori, ci sono dubbi. Dei mandanti non si sa nulla. Ultimamente la magistratura inquirente ha fatto balenare l’ipotesi che i mandanti siano persone ormai defunte. Ma contro i defunti non si possono istruire processi, se non altro perché non possono difendersi. Sfruttare eventuali procedimenti contro altri imputati, per fare processi collaterali a mandanti passati a miglior vita, sarebbe meschinità che non posso neanche credere che i magistrati di Bologna abbiano intenzione di fare. Perciò: dubbi sugli esecutori, concordanza sui depistaggi, nulla sui mandanti … come quadro d’insieme, sinceramente, mi sembra un po’ pochino.
Fare emergere la verità!
Su un punto sono stati tutti concordi: emerga la verità! Certo. Chi non lo vuole? Ma il punto è: come? Affidarsi ancora alla Giustizia? Dopo 43 anni? Nel 1999 è stato recepito in Costituzione il principio della ragionevole durata dei processi. Forse che 43 anni sono un tempo ragionevole? Chi aveva 10 anni all’epoca dei fatti, oggi ne ha oltre 50. Chi ne aveva 30, ne ha oltre 70. Di coloro che ne avevano 50, probabilmente, non ne sono rimasti ancora molti…
Mi è capitato, tempo fa, di ascoltare un’udienza di uno dei processi in corso. Veniva ascoltata una figlia di un imputato, all’epoca dei fatti dodicenne. Si pretendeva che ricordasse dove l’aveva portata papà in gita a Bologna quel fatidico 2 agosto. Poi è stata chiamata una ex moglie, all’epoca dei fatti circa quarantenne. A un certo punto è sbottata, lamentando che considerava assurdo, alla sua veneranda età, essere sballottata di procura in tribunale per ricordare circostanze di oltre 40 anni prima! Come darle torto?
Siamo sicuri che processi simili possano fare luce, oggi, sulla verità? Alla fine, forse, la cosa migliore da fare, oggi, sarebbe che i magistrati chiudessero i faldoni e li chiudessero in archivio. Loro, i processi ai mandanti non possono più farli. Gli storici sono gli unici che, senza pronunciare sentenze, ma basandosi su documenti, possono davvero fare luce sull’agognata verità. Lasciamo spazio agli storici.
© L’Irriverente, 2023
[1] si veda al riguardo l’articolo di Bianconi sul Corriere della Sera del 3 agosto.
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