Una delle giornate mondiali più snobbate nel nostro Paese è il 19 agosto: è la giornata mondiale dell’aiuto umanitario. In Italia non se ne sarà quasi accorto nessuno. Anzi, diciamolo: le nostre due massime giovani donne del Paese, abbarbicate come sono al XX secolo, non hanno dedicato a questa giornata neppure un sospiro. (Sugli uomini che coprono i massimi ruoli istituzionali del Paese, stendiamo un velo pietoso!). Eppure, il lavoro di operatore umanitario nel mondo è uno dei più importanti, ma anche dei più pericolosi in assoluto. Uno studio di Humanitarian Outcomes offre cifre eloquenti[1].
Attacchi e vittime
I grafici che riportiamo sono tratti direttamente dal rapporto. Nel 2022 gli operatori umanitari nel mondo hanno subito 235 attacchi (attacks), all’incirca 2 ogni 3 giorni. In questi attacchi sono stati coinvolti 444 operatori umanitari (victims) e 116 ne sono rimasti uccisi (fatalities). Dopo un periodo, tra il 2014 e il 2017, in cui gli attacchi (e le relative conseguenze) erano rimasti un po’ più limitati, dal 2018 ci sono stati sistematicamente oltre 200 attacchi all’anno e non meno di 400 vittime, di cui oltre 100 rimasti uccisi. Un quadro che è un’autentica strage. Ogni anno. Sulla quale, almeno nel nostro Paese, si distende una sconcertante coltre di silenzio.
La mappa dei luoghi più pericolosi
Estremamente eloquente è anche la cartina con cui il rapporto si conclude. Il Paese in cui l’opera degli attivisti umanitari è maggiormente in pericolo è il Sud Sudan (infestato da una guerra civile tra esercito e forze paramilitari): in questo paese numerosissimi sono gli assalti con arma da fuoco e i rapimenti (si segnala addirittura uno stupro!). Tuttavia, emergono come estremamente pericolosi anche Mali, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Repubblica Centro Africana e Burkina Faso. Tutti paesi in cui golpe e guerre civili provocano costanti scontri e uno stato di prostrazione tra la popolazione. Ma se l’Africa è il continente dove c’è il maggior numero di Stati dilaniati da conflitti e miseria, altrove ci sono situazioni non meno pericolose. In Asia si distinguono la Siria (in cui la guerra civile continua a mietere vittime) e il Myanmar (travagliato da un golpe a cui la popolazione continua a ribellarsi). In Europa invece spicca l’Ucraina, un paese in cui non solo la guerra provoca massacri e distruzione tra la popolazione, ma in cui anche l’aiuto umanitario viene ostacolato e sottoposto ad assalti e rapimenti.
Conclusione
Ci sono persone, nel mondo, che dedicano la propria vita ad aiutare altre persone che, a causa dell’avidità dei loro ceti dirigenti, vengono trascinate nella fame, nella miseria e nella malattia. Per salvare la vita degli altri, queste persone mettono a repentaglio la loro vita. Mentre ci affanniamo a erigere muri contro chi da queste tragedie fugge e cerca riparo, ci dimentichiamo di coloro che, invece, a chi cerca riparo offre una prospettiva di vita migliore. A rischio della propria vita. Queste persone sono il vero muro contro i flussi migratori della disperazione. Sono loro la soluzione ai barconi che approdano le nostre coste. Sono loro le persone che lavorano affinché, chi oggi migra, abbia invece una prospettiva migliore nel proprio paese e quindi non migri più.
Ma di queste persone nessuno parla. Su tutto questo in Occidente si distende una coltre di sconcertante silenzio. C’è forse dimostrazione più eloquente dello squallore morale e umano del nostro mondo dell’informazione e dei nostri ceti dirigenti?
© L’Irriverente, 2023
[1] Lo studio, in inglese, pubblicato ad agosto 2023, si intitola Aid Worker Security Report 2023 (Rapporto 2023 sulla sicurezza degli operatori umanitari) e può essere liberamente scaricato sul sito Humanitarian Outcomes (www.humanitarianoucomes.org) al seguente link: https://www.humanitarianoutcomes.org/sites/default/files/publications/ho_aidworkersectyreport_2023_d.pdf.
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