Non molti forse sanno che esiste in Italia un Garante Nazionale per i Diritti delle Persone Private della Libertà Personale. Si tratta di un organismo, divenuto operativo, dopo un lungo travaglio, nel 2016, che ha la funzione di vigilare sulla corretta applicazione delle leggi e delle convenzioni internazionali sul trattamento dei detenuti. Lo scorso 20 marzo 2023 il Garante ha pubblicato un Rapporto Tematico sul Regime Detentivo Speciale ex Articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario[1]. Si tratta di un documento di 46 pagine, di lettura assolutamente abbordabile, che ci permettiamo di consigliare a chiunque voglia farsi un’idea sul tema, senza subire i soliti ululati della pletora di capi-tifoseria che infesta il panorama della nostra informazione.
In questo articolo ne proponiamo una sorta di introduzione alla lettura.
Che cosa prevede l’articolo 41bis dell’Ordinamento Penitenziario
Il 41bis è un articolo di legge che fu aggiunto all’Ordinamento Penitenziario nel 1992, in seguito agli assassinii dei magistrati Falcone e Borsellino. L’articolo è stato poi modificato e integrato ripetutamente negli anni successivi. In sostanza prevede che possano essere applicate forme di detenzione particolarmente restrittive, per impedire “la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva”.
L’articolo 41bis stabilisce che è il Ministro della Giustizia a comminare questa forma di detenzione ed è la stessa legge a indicare gli ambiti nei quali è possibile applicare le restrizioni: la regolamentazione dei colloqui con i familiari, limitazioni delle somme e degli oggetti che si possono ricevere, sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, forme di permanenza all’aperto.
Come si può notare, l’articolo 41bis è molto generico, fornisce linee d’indirizzo generale e non scende quasi mai nello specifico. Afferma, però, il principio, ripetutamente ribadito, che la finalità delle restrizioni deve sempre essere quello di impedire al detenuto contatti con le organizzazioni criminali.
Gli interventi della Corte Costituzionale
È evidente, dal paragrafo precedente, che l’articolo 41bis è talmente generico che, di per sé, non comporta problemi di costituzionalità o di coerenza con i diritti dell’uomo o altre convenzioni internazionali. Le polemiche che si sollevano al suo riguardo, dunque, non sono mai relative alla legge di per sé, quanto alla sua applicazione. E che ci siano problemi sulla sua applicazione emerge, non solo dalle numerose sentenze della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, ma anche da numerosi interventi della Corte Costituzionale (entrambi richiamati nel rapporto).
Quest’ultima è stata ripetutamente invitata a esprimersi sul modo in cui l’articolo 41bis viene applicato. E ha sistematicamente ribadito che qualunque restrizione deve avere come scopo quello affermato dalla legge: impedire al detenuto contatti con le organizzazioni criminali. Nient’altro. In particolare, “le misure disposte non possono comunque violare il divieto di trattamenti contrari al senso d’umanità né vanificare la finalità rieducativa della pena”, come stabilito dalla Costituzione.
I rilievi del Garante
È in quest’ottica che alcune restrizioni imposte ai detenuti in regime di 41bis lasciano davvero sbigottiti. Il Garante, nel suo rapporto, le richiama con dettaglio.
Che relazione ha con le necessità di sicurezza, per esempio, il divieto di usare solo pentole e pentolini del diametro non superiore a, rispettivamente, 25 e 22 centimetri? E quale il fatto che gli oggetti per l’igiene personale possono essere consegnati solo in specifici orari, una volta al mattino e una la sera? Perché non si possono tenere più di 12 matite o colori ad acquarello nella sala pittura? E perché in cella il detenuto non può tenere più di 4 libri e non più di 30 fotografie, di dimensioni non superiori a 20×30cm?
Si arriva al punto che alle pareti non si può affiggere nulla, eccetto una singola foto di un familiare. I calendari, forse, contengono messaggi subliminali? Ci possiamo sentire decisamente più più al sicuro, in effetti, se questi mafiosi assassini terroristi possono guardare la televisione, ma solo in specifici orari (e Io stesso vale per la radio). Così pure per il fatto che i canali che possono guardare devono avere rilevanza nazionale: lì di mafiosi e assassini, che possono inviare messaggi cifrati, non ce ne sono; al contrario, nei canali locali tutto può succedere…
Quotidiani e altre amenità
Orari specifici sono previsti anche per la ricezione e lettura dei quotidiani, che possono essere, tuttavia, solo quelli a più ampia diffusione nazionale; e anche questo ci tranquillizza. A Novara, per esempio, è vietato l’acquisto di quotidiani quali il Domani, il Dubbio e il Manifesto, giornali palesemente filomafiosi e filoeversivi. Solo negli istituti in cui è presente un Cappellano è disponibile l’Avvenire, giornale con infiltrazioni straniere, ultimamente anche sudamericane, patria del traffico di stupefacenti!
I dispositivi elettronici sono vietati, anche non connessi a internet. E certamente contatti con le organizzazioni mafiose sono radicalmente recisi grazie a un elenco che stabilisce quali prodotti alimentari possano essere acquistati all’interno del carcere, allo scopo di evitare differenziazioni territoriali!… Niente pizzoccheri in Valtellina!!!!!
Omettiamo di richiamare i rilievi del Garante sull’inadeguatezza e fatiscenza degli edifici, sulla schermatura delle finestre, sulla pressoché assoluta assenza di attività lavorativa, sulle ristrettezze degli spazi d’aria e dell’assenza di vegetazione nelle strutture, anche negli spazi aperti… Li lasciamo a chi voglia leggersi il rapporto nella sua integralità.
Conclusione
Il Garante conclude il suo rapporto con 11 raccomandazioni, molto pratiche. Tutte alla fine convergono su un unico principio. Lo scopo principe della detenzione è la rieducazione, fare di quell’uomo un uomo nuovo, chiunque egli sia e qualunque sia la ragione percui sia in stato di detenzione. Questo non è solo un principio cardine della nostra Costituzione, è un principio di civiltà. Chiunque lo neghi, non solo si pone al di fuori della Costituzione: svilisce anzitutto se stesso allo stato bestiale. E rieducare il detenuto significa consentirgli di leggere, di scoprire cose nuove, di ampliare i propri orizzonti, di fare cose nuove. Tutto questo non è in contrasto con il principio di sicurezza e neppure con lo scopo di impedire che il detenuto abbia contatti con organizzazioni criminali.
Una detenzione priva di rieducazione ha un altro nome: si chiama vendetta.
© L’Irriverente, 2023
[1] Il rapporto è liberamente scaricabile al seguente link: https://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/pages/it/homepage/dettaglio_contenuto/?contentId=CNG15133&modelId=10021.
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