Lo scorso 16 giugno l’Istat ha comunicato i dati definitivi sull’inflazione nel mese di maggio. Abbiamo già commentato i risultati generali (puoi trovare l’articolo a questo link). In questo articolo ci sofferememo sui prezzi dell’abbigliamento.
CLASSI DI PRODOTTO STABILI
Consideriamo classi di prodotto stabili quelle il cui indice di prezzo è rimasto è cresciuto solo lievemente, per i quali, cioè, da gennaio 2016 a oggi (l’intervallo di tempo che stiamo prendendo in considerazione) l’indice dei prezzi è cresciuto meno del 9%. Si tratta di quattro classi di prodotto:
- Lo spettacolo e la cultura sono cresciuti da gennaio 2016 solo dello 0,9%, la stessa crescita che si è registrata nell’ultimo anno.
- I servizi sanitari da gennaio 2016 sono cresciuti del 3,2% e nell’ultimo anno dello 0,8%.
- L’abbigliamento da gennaio 2016 è cresciuto del 3,8% e nell’ultimo anno dell’1,6%.
- L’arredamento da gennaio è cresciuto del 6,2% e nell’ultimo anno del 4,5%.
Illustriamo l’andamento di questi indici nel GRAFICO 1. Abbiamo escluso dal grafico lo spettacolo e la cultura, il cui andamento ciclico rischiava di disturbarne la comprensione. L’andamento relativo allo spettacolo e alla cultura è rappresentato nel GRAFICO 2 che subito segue.
Come si può notare ogni classe di prodotto ha un po’ una sua storia. In questo articolo approfondiamo l’andamento dei prezzi dell’abbigliamento.
I PREZZI DELL’ABBLIGLIAMENTO
Se consideriamo il periodo che va da gennaio 2016 a febbraio 2022, cioè fino allo scoppio della guerra, l’abbigliamento ha conosciuto un pressoché costante aumento dei prezzi, ma decisamente lieve, nell’ordine dello 0,4% annuo. Da marzo, però, la situazione è sensibilmente cambiata e i prezzi sono aumentati in soli due mesi alla stessa velocità con cui fino ad allora crescevano in un anno, cioè dello 0,4%: se i prezzi continuassero a crescere così per tutto l’anno, a maggio dell’anno prossimo l’aumento dei prezzi dell’abbigliamento sarebbe del 2,3%. Nell’ultimo mese addirittura i prezzi sono cresciuti dello 0,3%, aumento che, se si conservasse per tutto l’anno, equivarrebbe a un’inflazione annua di quasi il 5%. L’apparente stabilità dei prezzi dell’abbigliamento, quindi, nasconde, in verità, una crescita degli ultimi mesi davvero allarmante, crescita esplosa in concomitanza con la guerra. In questo caso, però, il dubbio di comportamenti speculativi non è trascurabile: non si capisce davvero perché il settore dovrebbe risentire così tanto della guerra in Ucraina.
Prezzi dell’abbigliamento: segmenti aumentati i più
Sono soprattutto alcuni segmenti dell’abbigliamento che stanno subendo una forte verticalizzazione dei prezzi. Alcuni di questi segmenti sono illustrati nel GRAFICO 3.
I segmenti che hanno subito le crescite maggiori sono i pullover (sia maschili che femminili – nel grafico illustriamo quelli maschili; quelli femminili hanno un andamento analogo), l’abbigliamento intimo (soprattutto quello femminile – illustrato nel grafico – e per bambini, un po’ meno quello maschile), l’abbigliamento per neonati, i servizi di lavanderia – illustrati nel grafico – e di riparazione. Tutti questi segmenti hanno subito un aumento di prezzo prossimo all’1% da marzo (cioè dall’inizio della guerra) e superiore al 6% da gennaio 2016. Il primo comporta una proiezione annua nell’ordine del 4%, che sale fino a punte dell’8,2%, come nel caso dell’abbigliamento intimo per bambini. Un aumento davvero vertiginoso che difficilmente ci sembra si possa spiegare con l’esplosione della guerra, a meno di non suppore comportamenti speculativi.
Prezzi dell’abbigliamento: segmenti con diminuzioni di prezzo
Ciò non toglie che vi siano anche segmenti i cui prezzi sono in calo. Si segnalano in particolare le calzature, soprattutto quelle da uomo, che da marzo hanno subito una diminuzione di quasi l’1% e da gennaio 2016 addirittura del 5,5%.
Conclusioni
Se complessivamente i prezzi dei prodotti di abbigliamento sono rimasti piuttosto stabili negli ultimi anni, si segnalano, dall’inizio della guerra, delle forti tendenze al rialzo, soprattutto nel segmento dei pullover, dell’intimo, dell’abbigliamento per l’infanzia, dei servizi di lavanderia. Se questi ultimi stanno verosimilmente molto soffrendo dell’aumento dei costi energetici, questa giustificazione pare meno comprensibile per gli altri segmenti, in cui l’aumento dei prezzi sembra più ispirato a comportamenti speculativi.
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