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Inflazione: non è tutta colpa della pandemia e della guerra

Che cosa sta davvero accadendo ai prezzi? È davvero tutta colpa del covid e della guerra in Ucraina? … A giudicare dai dati, non sembrerebbe esattamente così …

Lo scorso 16 giugno l’Istat ha comunicato che l’inflazione nel mese di maggio ha raggiunto la quota del 6,8%. A gennaio era al 4,8%, a settembre al 2,5% … insomma, l’inflazione sta rialzando davvero la testa, a livelli che non si vedevano dagli anni Ottanta. E fa paura.

L’inflazione è una gran brutta bestia. I prezzi crescono e il costo della vita si fa giorno dopo giorno sempre più proibitivo. Soprattutto per chi è economicamente più precario. In questo articolo vogliamo cercare di spiegare in termini semplici che cosa sia l’inflazione e, con una serie di grafici elaborati sulla base dei dati ufficiali, cercare di aiutare a comprendere che cosa davvero sta aumentando e che cosa no. In particolare, vogliamo verificare se e quanto gli aumenti possano essere attribuiti alla pandemia e alla guerra in Ucraina, come si sente e si legge molto spesso.

Questo articolo si concentrerà sui dati più generali, mentre abbiamo preparato alcune schede di dettaglio, per approfondire l’analisi del comportamento dei prezzi di specifici prodotti o servizi.

 


INDICE
  1. Che cosa è l’inflazione
  2. Che cosa sta accadendo ai prezzi

 

1. CHE COSA È L’INFLAZIONE

Che cosa è, dunque, l’inflazione? Comunemente viene associata all’aumento del costo della vita. Indirettamente in effetti è così, ma di per sé l’inflazione è un’altra cosa. Gli economisti la definiscono come la perdita di potere d’acquisto della moneta. L’inflazione, cioè, per dirla molto terra terra, è la perdita di valore dei soldi. Se ieri potevo comprare un chilo di pane con 3 euro e oggi mi ci vogliono 3 euro e 50 centesimi, non solo significa che il pane è diventato più caro, ma anche che quei 3 euro, ora, valgono meno di prima, perché con quei 3 euro ora posso acquistare meno “roba”. A monarchi e governanti del potere d’acquisto della gente non è mai importato granché. Ma se il danaro o i tesori che racchiudevano nei loro forzieri col passare del tempo cominciava a valere di meno … beh, la faccenda tendeva decisamente ad abbruttirli. Il curioso fenomeno della moneta che perde valore è noto fin dall’antichità e già nel Trecento un certo Nicola d’Oresme (francese, una specie di Leonardo da Vinci ante-litteram) aveva dedicato al tema un Trattato sulle Monete. E aveva già compreso cose che sarebbero poi state riscoperte secoli dopo di lui.

Come accade che la moneta perde valore

Ma perché mai la moneta perde valore? In fondo, 1 euro è 1 euro: perché col tempo diminuisce la quantità di pane che ci posso comprare? Le ragioni possono essere molteplici, ma ce n’è una che è dominante. La moneta è prodotta e diffusa dalle banche centrali. Quanta più moneta viene messa a disposizione da parte loro, quanto più famiglie e imprese dispongono di danaro; tale disponibilità di danaro le induce a spendere di più e a fare più acquisti; i produttori di beni e servizi e i loro rivenditori, allora, si possono permettere di aumentare i prezzi, perché si rendono conto che i loro clienti sono disposti a spendere qualcosa di più; ed ecco che i prezzi gradatamente crescono e s’innesca l’inflazione. Se l’aumento dei prezzi deriva dall’aumento del benessere di famiglie e imprese, solitamente l’aumento è piuttosto moderato (diciamo, nell’ordine del 2%), gli economisti lo considerano normale, monarchi, governanti e banche centrali non se ne preoccupano granché: le imprese producono beni che riescono a rivendere, ottengono utili che distribuiscono tra investitori e lavoratori, investitori e lavoratori migliorano i propri redditi e si possono concedere un migliore tenore di vita.

Tuttavia, non sempre è così. Se l’inflazione non riflette un aumento del benessere generale, allora significa che c’è un problema: per esempio, se, come in parte sta accadendo ora, si verifica una scarsità di derrate alimentari e di materie prime energetiche e il loro prezzo sale, l’inflazione potrebbe crescere in modo incontrollato, sicché monarchi e governanti si allarmano per i propri forzieri e i loro sudditi per il costo della loro vita. Ciò che si sta temendo, in questo momento, è che ci troviamo in questo secondo scenario.

Come si misura l’inflazione

Oggi, da ormai circa un secolo e mezzo, buona parte dei paesi economicamente più avanzati spendono una quota considerevole del proprio bilancio per tenere sotto controllo l’inflazione. Così, nei momenti in cui i prezzi crescono in modo allarmante, le banche centrali adottano strategie per ridurre la quantità di moneta presente sul mercato. Quando accade il contrario, cioè i prezzi crescono troppo poco o addirittura diminuiscono, spesso si ritiene che l’economia stia soffrendo e allora le banche centrali adottano strategie per aumentare la quantità di moneta presente sul mercato.

In Italia l’inflazione è monitorata dall’Istat, l’Istituto Centrale di Statistica, un ente pubblico che produce buona parte della statistica istituzionale, cioè, per intenderci, “di Stato”: oltre all’inflazione, l’Istat monitora la quantità di popolazione residente, variabili economiche come il PIL, l’inflazione, la disoccupazione o i consumi delle famiglie; effettua statistiche di carattere sanitario o sulla scuola e molto altro.

Come l’Istat misura l’inflazione

Per la misura dell’inflazione l’Istat adotta criteri concordati con gli istituti analoghi degli altri paesi dell’Unione Europea e con Eurostat, l’istituto di statistica dell’Unione Europea, al fine di misurare l’inflazione con criteri omogenei tra tutti i paesi dell’Unione. L’Istat manda (con la collaborazione dei Comuni) dei collaboratori nei negozi di tutta Italia e rileva ogni mese i prezzi di oltre 1700 prodotti e servizi; pubblica poi, ogni mese, un indicatore generale (che viene chiamato numero indice) che consente di farsi un’idea di quanto stanno aumentando i prezzi nel paese. L’Istat fornisce anche degli indicatori relativi a raggruppamenti di prodotti che scendono anche a un notevole livello di dettaglio, per cui ci si può fare un’idea di quali prodotti e servizi stanno aumentando di più e quali di meno.

È sulla base di questi dati che proponiamo l’analisi che segue[1].

2. CHE COSA STA ACCADENDO AI PREZZI

In tutti i grafici che abbiamo preparato, illustreremo l’andamento mensile dei prezzi a partire da gennaio 2016. I valori sono indicati mediante il numero indice, che confronta i prezzi di un certo mese con quelli medi del 2015. I numeri che si troveranno nei grafici, pertanto, non sono i prezzi, ma una sorta di sintesi statistica del loro livello per certi prodotti in un certo tempo (nel nostro caso, da gennaio 2016 a oggi, cioè circa 6 anni e mezzo). In ogni caso, ciò che invitiamo a guardare nei grafici non sono tanto i singoli valori, quanto gli andamenti, cioè se le curve salgono o crescono (che significa che i prezzi salgono o crescono) e quanto rapidamente (che fornisce un’idea dell’intensità dell’inflazione). In tutti i grafici evidenziamo con una linea rossa l’inizio della pandemia e con una linea verde l’inizio della guerra in Ucraina.

L’indice generale

Cominciamo da quello che l’Istat chiama indice generale, cioè l’insieme dei prezzi di tutti i prodotti e servizi considerati, il cui andamento è illustrato nel GRAFICO 1. Si può notare che l’andamento è piuttosto costante e, soprattutto, né la pandemia né la guerra hanno comportato un cambiamento rilevante nello sviluppo della curva. Dopo febbraio 2020 l’inflazione si è mantenuta piuttosto stabile; a settembre 2020 è lievemente diminuita e poi, solo da quel momento, ha cominciato a crescere con maggiore intensità (la curva è più ripida, sintomo che l’inflazione cresce più rapidamente); e un anno dopo, a settembre 2021, la crescita è ancora più ripida. Si tratta di incrementi avvenuti tutti dopo l’esplosione della pandemia e prima dello scoppio della guerra. L’inflazione a cui stiamo assistendo, pertanto, a giudicare da questo grafico, risale a circa un anno e mezzo fa, non è affatto un’apocalisse di questo momento. Solo parzialmente potrebbe essere considerato retaggio della pandemia o un disastro provocato dalla guerra. L’inflazione di oggi, cioè, è lo sviluppo di un fenomeno che sta maturando da tempo.

 

Andamento dell'indice generale dei prezzi al consumo
GRAFICO 1 – Fonte: L’Irriverente su dati Istat

Le dodici classi di prodotto

Si potrebbe pensare che però ci siano specifici prodotti o servizi per i quali la pandemia o la guerra stanno provocando degli effetti particolarmente sensibili. A questo scopo abbiamo predisposto delle schede specifiche per singoli raggruppamenti di prodotti o servizi. L’Istat, infatti, suddivide l’indice generale in 12 cosiddette classi di prodotto, le quali a loro volta sono suddivise in ulteriori sottoclassi, segmenti e aggregazioni di prodotto. Le schede offrono un approfondimento di singole classi di prodotto. Qui ci limitiamo a tirare le fila che derivano dall’analisi delle singole schede.

Le schede sono così organizzate:

Qui di seguito, invece, proponiamo alcune considerazioni generali.

Considerazioni generali

È innegabile che la pandemia e la guerra hanno esercitato e in molti casi ancora oggi esercitano un forte impatto sull’aumento dei prezzi. Tuttavia, già prima della pandemia e della guerra si riscontravano, anche se in misura più lieve, quegli stessi effetti che poi essi hanno scatenato in modo tanto evidente. I prezzi dei carburanti e delle utenze energetiche stavano già diminuendo prima della pandemia e stavano già sensibilmente crescendo prima dell’invasione dell’Ucraina. Lo stesso fenomeno si riscontra per i prodotti alimentari. In alcuni casi si ha l’impressione che, nascondendosi dietro a queste giustificazioni, si stiano innestando comportamenti speculativi. È questo il caso della ristorazione e dei servizi alberghieri, il cui aumento di prezzo negli ultimi mesi appare decisamente spropositato rispetto all’indubbia terribile crisi che il settore ha dovuto affrontare nel periodo pandemico.

Prendendo in considerazione l’intero periodo che va da gennaio 2016 a maggio 2022, delle 12 classi di prodotto individuate dall’Istat, solo la metà ha avuto un aumento di almeno il 10% (in 6 anni e mezzo). Le classi relative a istruzione e comunicazione sono addirittura diminuite di prezzo in questi anni (in media), mentre i prodotti di arredamento e gli elettrodomestici, l’abbigliamento e i servizi sanitari sono rimasti sostanzialmente stabili. Nessuna di queste categorie di prodotto ha subìto un impatto significativo, né dalla pandemia, né dalla guerra.

Le classi in cui gli aumenti sono stati più sensibili e si coglie l’impatto della pandemia e della guerra sono: le bollette delle utenze energetiche, i carburanti, la ristorazione e il settore alberghiero. In tutti questi settori, tuttavia, gli aumenti, così come le diminuzioni, sono cominciati prima, sia della pandemia che della guerra. Peraltro, in particolare nella ristorazione e nel settore alberghiero, gli aumenti degli ultimi mesi sono davvero sconcertanti.

© 2022 L’Irriverente

 

 

[1] L’analisi si basa sul comunicato stampa relativo all’inflazione del mese di maggio 2022, pubblicato il 16 giugno 2022, che può essere scaricato al seguente link: https://www.istat.it/it/archivio/271998. La base dati è disponibile sul sito i.Stat dell’Istat al link: http://dati.istat.it/. L’indice dei prezzi al consumo preso in considerazione è quello nazionale relativo all’intera collettività (NIC).

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