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Diseguaglianze: la tragedia dei redditi in Italia

Dagli anni Ottanta a oggi le diseguaglianze in Italia si sono sempre più divaricate. Il 10% di popolazione più benestante ha sempre più aumentato il proprio reddito a discapito di metà della popolazione. Non è accaduto solo che i più ricchi sono diventati più ricchi e i più poveri sempre più poveri. Il problema è che una minoranza accumula redditi sempre più alti contro una maggioranza sempre più impoverita. Da quarant’anni, cioè, redditi, (quasi) sempre crescenti, in Italia si distribuiscono in modo sempre più diseguale.

Non si parla molto della questione dei redditi, in Italia. Quelle rare volte che se ne sente parlare, lo si fa in modo piuttosto confuso. Proviamo a fare il punto della situazione, avvalendoci dei dati del World Inequality Database[1], un sito che, sulla base dei dati ufficiali di tutti i paesi del mondo e di istituzioni internazionali, offre un ampio quadro dello stato delle diseguaglianze in tutto il globo. Partiremo illustrando l’andamento dei redditi in Italia, per poi approfondire il tema della loro distribuzione.

Come credo si constaterà, l’Italia ha un gigantesco problema di distribuzione dei redditi, che acuisce le diseguaglianze. Un problema decennale. Un problema che nessun governo, di destra o di sinistra, dell’alto o del basso, tecnico o politico che fosse, si è mai davvero preoccupato di affrontare. Il problema di fondo non è solo politico, è anche nella mentalità degli altissimi ceti dirigenti delle industrie e delle imprese. Perché, che ci piaccia o no, è anzitutto nelle imprese che si fa la politica dei redditi di un paese.

[Nota: cliccando sui grafici è possibile ingrandirli; cliccando sul link “Visualizza il grafico interattivo”, nella didascalia, è possibile aprire una finestra separata con una riproduzione interattiva del grafico, adattata ai dispositivi mobili]

 


INDICE
  1. L’andamento dei redditi in Italia
  2. La distribuzione dei redditi in Italia
  3. Le quote di reddito pro-capite
  4. Conclusioni

 


 

1. L’andamento dei redditi in Italia

Il GRAFICO 1 illustra l’andamento del reddito nazionale italiano dal 1950 a oggi. Il suo andamento è confrontato con quello del PIL, cioè della ricchezza prodotta ogni anno. I dati indicati nel grafico sono a valori costanti, cioè epurati dall’inflazione: 1 euro del 1950 (che peraltro ancora non esisteva), nel grafico, ha lo stesso potere d’acquisto di 1 euro nel 2010, cioè può acquistare gli stessi prodotti e servizi. Come è ragionevole attendersi, le due curve corrono quasi in parallelo, ma non proprio. Tendono a biforcarsi. In un modo singolare, però. Si noti. Nel 1950 il PIL era circa 400miliardi di euro, mentre i redditi erano intorno ai 200miliardi: ai redditi, cioè, si dedicava circa la metà della ricchezza prodotta; ciò significa che l’altra metà era dedicata a investimenti. Per la precisione, i redditi erano circa il 57% del PIL; quindi, oltre il 40% era poi re-investito (in ricerca, nella scuola, in nuovi impianti industriali, in infrastrutture). Col passare del tempo, la quota distribuita come reddito è cresciuta sempre di più: nel 2000 il rapporto tra redditi e PIL raggiunse il 68% e da lì, sostanzialmente, non si è più scostato. Che cosa significa questo? Lo approfondiremo. Prima di tutto, però, cerchiamo di capire meglio come sono evoluti i redditi in Italia.

 
 
 
Boom economico e crisi internazionali

PIL e redditi sono cresciuti quasi costantemente dal 1950 fino al 2007. Si noti che questa crescita è, come si dice, reale: i beni e i servizi prodotti in Italia nel 2007 erano davvero quasi 6 volte quelli prodotti nel 1950; il reddito distribuito era addirittura 7 volte tanto, cioè consentiva di acquistare il settuplo di beni e di servizi. Non c’è dubbio che in questi quasi 60 anni il paese ha conosciuto un progresso economico sbalorditivo. Tuttavia, dal 2007, l’anno della famosa crisi dei sub-prime, le cose sono drasticamente cambiate e il paese non ha più saputo recuperare i livelli né di PIL né di reddito di allora. Nel 2019 avevamo ancora un livello di PIL e di reddito nazionale all’incirca uguale a quello del 2000. Poi è venuta la pandemia e siamo retrocessi al livello del 1995, cioè abbiamo fatto un salto all’indietro di 25 anni. Ora, pianin pianino, stiamo risalendo la china.

 

PIL e reddito nazionale in Italia dal 1950 a oggi

GRAFICO 1: l’andamento del PIL e del reddito nazionale in Italia (Fonte: L’Irriverente su dati World Inequality Database) – visualizza il grafico interattivo

 

Il grafico ci dice due cose:

  • Che fino al 2007 il paese è sempre cresciuto in termini reali sia per la ricchezza prodotta sia per il reddito distribuito, poi, dal 2007 a oggi, non si è mai ripreso dalla crisi, né in termini di ricchezza prodotta, né, evidentemente, di reddito distribuito.
  • Nonostante la sbalorditiva crescita della ricchezza prodotta, essa è stata sempre più destinata alla distribuzione di reddito e sempre meno agli investimenti: mentre negli anni ’50 gli investimenti costituivano il 40% di quanto producevamo, dal 2000 essi si sono ridotti all’incirca al 30%. E neanche nei periodi di crisi si ha avuto la tendenza ad aumentarne la quota.

 
 
 
Il confronto con la Germania

Il primo punto, cioè la grande crescita di prodotto e reddito negli ultimi settant’anni, sembrerebbe estremamente gratificante e la crisi successiva al 2007 sembrerebbe comprensibile e giustificata. In fondo è stata una crisi internazionale. Eppure, se ci confrontiamo con altri paesi, la situazione si fa decisamente meno gratificante. Nel GRAFICO 2 mostriamo l’andamento del reddito nazionale italiano confrontato con quello della Germania. L’intervallo di tempo è lo stesso: dal 1950 al 2021.

Non ci si deve lasciare ingannare dal posizionamento delle due linee: il reddito nazionale italiano non è mai stato superiore a quello della Germania. Le scale di riferimento sono diverse: quella a sinistra è relativa all’Italia, con la linea verde; quella a destra, su una scala più che doppia, è relativa alla Germania, con la linea rossa. Il reddito tedesco è sempre stato più che doppio rispetto a quello italiano (a parità di potere d’acquisto, lo ricordiamo!). Questa rappresentazione, tuttavia, consente di cogliere in modo visivo come fino al 2011 i due andamenti siano stati pressoché identici, anche se su scale diverse. È dopo il 2011, a partire dal Governo Monti, che la situazione è cambiata drasticamente: mentre l’economia italiana è ristagnata e non si è più ripresa dalla crisi del 2007, quella tedesca ha continuato a crescere, subendo un contraccolpo minimo dal covid, tanto che già nel 2021 ha recuperato interamente i livelli di reddito del 2019.

 

Reddito nazionale in Italia e in Germania dal 1950 a oggi
GRAFICO 2: confronto del reddito nazionale a valori costanti in Italia e in Germania (Fonte: L’Irriverente su dati World Inequality Database) – visualizza il grafico interattivo

 

La situazione italiana, dunque, non è solo frutto dell’impatto della crisi del 2007 e della pandemia, ma anche del modo in cui l’uno e l’altra sono state gestite nel nostro paese: in Italia si è strozzata la capacità produttiva del paese e si sono soffocate le sue opportunità di crescita.

 


 
2. La distribuzione dei redditi in Italia

Finora abbiamo delineato il contesto: una strabiliante crescita dei redditi, anche a scapito degli investimenti, fino al 2007, e poi la crisi, in cui i redditi distribuiti sono stati altalenanti, pur senza mai recuperare i livelli del 2007. Veniamo alla questione delle diseguaglianze, cioè a come sono stati distribuiti i redditi prodotti in questo periodo.

 
 
 
Le tre classi di reddito del World Inequality Database

È su questo versante che i dati del World Inequality Database si fanno davvero impressionanti. Il sito suddivide la popolazione in tre classi di reddito:

  • L’1% di popolazione più ricca
  • Il 10% di popolazione più ricca
  • Il 50% di popolazione più povera

Si tratta di tre classi che non coprono l’intera popolazione, evidentemente. Sono, però, classi piuttosto indicative, che potremmo definire così: i più ricchi (1%), i benestanti (10%), la metà meno abbiente (50%). Si noti: quest’ultima non è la categoria della popolazione povera; include anche i poveri. Tuttavia, stiamo parlando della metà della popolazione italiana, confrontata con due minoranze con alti livelli di benessere. Cioè, per così dire, si confronta la distribuzione del reddito tra le élite e la maggioranza. Come si è distribuito il reddito nazionale, negli anni, tra queste fasce di popolazione in Italia? È in quest’ottica che guarderemo alla diseguaglianza della distribuzione dei redditi in Italia.

 
 
 
La quota di reddito nazionale della popolazione più ricca

Il GRAFICO 3 illustra esattamente questo: l’andamento della distribuzione delle quote di reddito nazionale tra le tre fasce. Per ciascuna si rappresenta la quota percentuale di partecipazione al reddito nazionale. La fascia temporale illustrata va dal 1974 a oggi, anche se i dati sulla metà meno abbiente cominciano dal 1980.

La linea rossa è dedicata all’1% più ricco, quelli che abbiamo definito i ricchi. Si trova più in basso ed è ovvio: una quota di popolazione così piccola è naturale che partecipi a una quota percentuale bassa di reddito. Tuttavia, se si considera che stiamo parlando solo dell’1% di popolazione, la loro quota di reddito è tutt’altro che indifferente: in effetti ci si aspetterebbe una quota di reddito nazionale anch’essa intorno all’1% … magari appena un po’ superiore … ebbene, la loro quota oscilla tra il 4% e il 9% del reddito nazionale: molto al di sopra dell’1%, addirittura quasi 10 volte superiore a quell’1% che ci si aspetterebbe. Ma non solo: nel tempo la quota è crescente. Parte da un livello intorno al 5% negli anni ’70 e poi sale, fino a raggiungere oggi una quota prossima al 10%, cioè quasi doppia rispetto ad allora.

 

Le diseguaglianze di quota di reddito nazionale tra fasce di popolazione
GRAFICO 3: le diseguaglianze della distribuzione percentuale del reddito nazionale dal 1974 al 2021 (Fonte: L’Irriverente su dati World Inequality Database) – visualizza il grafico interattivo

 
 
 
La quota di reddito nazionale delle altre due classi

La linea verde è quella del 10% più ricco, quelli che abbiamo definito i benestanti. L’andamento della loro curva è molto simile a quella rossa, anche se su livelli più alti, ma in proporzione inferiori. Nel caso di un 10% di popolazione ci aspetteremmo una porzione di reddito anch’essa intorno al 10%. Invece abbiamo quote che oscillano tra il 25% e il 35%, cioè tra il doppio e il quadruplo rispetto a quanto ci aspetteremmo.

Tuttavia, di questa curva ciò che colpisce di più è l’incrocio con la curva blu, quella della metà meno abbiente di popolazione. Questo 50% di popolazione, che ci aspetteremmo disporre di circa il 50% del reddito, negli anni ’70 disponeva di un po’ più del 25% (cioè della metà di quanto ci si aspetterebbe) e poi col tempo è andato sempre calando, tanto che oggi dispone all’incirca del 20% del reddito nazionale. Addirittura, dal 1986, metà della popolazione dispone di una quota di reddito nazionale che è inferiore rispetto a quella di cui dispone il 10% dei benestanti! E da allora il loro divario è andato sistematicamente ampliandosi, come dimostra la forbice tra le due curve.

Non potrebbe esserci dimostrazione più eloquente del divaricarsi delle diseguaglianze nella distribuzione dei redditi dagli anni ’70 a oggi. Divaricazione continua, costante e sistematica.

 


 
3. Le quote di reddito pro-capite

Riepiloghiamo quanto abbiamo visto finora. Il reddito nazionale è cresciuto a ritmi vertiginosi dagli anni Cinquanta fino al 2007, quando, intervenuta la crisi internazionale, il reddito si è fortemente ridimensionato e non è più riuscito a tornare ai livelli precedenti alla crisi. Fino al 1986, la quota prevalente di questo reddito è stata distribuita a metà della popolazione, quella meno abbiente, che tuttavia ha visto sistematicamente diminuire tale quota di reddito a favore di un 10% di popolazione più benestante, la quale, al contrario, l’ha vista sistematicamente aumentare. Lo stesso vale, all’interno di questo 10%, per l’1% più ricco. Questa circostanza ha comportato un’accentuazione delle diseguaglianze nella distribuzione dei redditi: già quando il reddito cresceva, le diseguaglianze si stavano divaricando. Con la crisi si sono ulteriormente accentuate. Non solo, lo ripetiamo, tra ricchi e poveri: questi dati non ci dicono questo. Le diseguaglianze che emergono sono quelle tra una piccola minoranza della popolazione e la sua maggioranza!

Finora abbiamo visto tutto questo in quote percentuali di partecipazione al reddito nazionale. Ma che cosa significa in soldoni? È quanto illustriamo con il GRAFICO 4. Abbiamo convertito quelle quote percentuali in ammontare del reddito nazionale e poi abbiamo calcolato il reddito medio per ciascun individuo appartenente alle tre classi che stiamo esaminando.

 

Redditi medi in Italia per fasce di popolazione dagli anni Settanta a oggi
GRAFICO 4: la diseguaglianza dei redditi medi dal 1974 al 2021 (Fonte: L’Irriverente su dati World Inequality Database) – visualizza il grafico interattivo

 
 
 
L’andamento generale dei redditi medi

Ciò che colpisce anzitutto di questo grafico è la sostanziale stabilità della linea blu in basso: è la linea dei redditi medi della metà di popolazione meno abbiente. Questa linea significa redditi fermi!!!!! Per carità, si può anche gioire del fatto che non siano diminuiti. Tuttavia, stiamo parlando dei redditi relativi a metà della popolazione italiana!!!! Da quarant’anni i redditi di metà della popolazione italiana sono fermi, pressoché immobili, come la stella polare nell’alto del firmamento. Sono l’axis mundi della nostra economia!!!! Certo, ci si potrebbe consolare con il fatto che il loro potere d’acquisto è stato conservato nel corso di tutti questi anni. Ma se lo si confronta con il firmamento in costante mutazione intorno a loro, allora il conforto si smonta subito.

L’andamento delle altre due fasce di popolazione riflette, con piccole differenze, gli andamenti che già abbiamo riscontrato analizzando l’evoluzione del reddito nazionale: crescita costante, fino però al 2001; poi una fase di stasi fino al 2007; quindi la crisi, continua fino al 2015; quindi una forte ripresa, fino al biennio 2017-2018, quando si torna ai livelli pre-crisi e poi la nuova crisi della pandemia (si noti come questi redditi, al contrario del reddito nazionale, prima della pandemia avevano recuperato i livelli precedenti alla crisi del 2007!).

Gli andamenti delle curve mostrano l’accentuarsi delle diseguaglianze nella distribuzione dei redditi.

 
 
 
Le differenze tra le fasce

L’aspetto che ci sembra più significativo, tuttavia, è il seguente. Negli anni ’80 il reddito di una persona appartenente all’1% più ricco della popolazione aveva un reddito medio che era pari, all’incirca, a 10 volte quello di una persona della metà meno abbiente; mentre, nello stesso periodo, chi apparteneva al 10% più benestante aveva mediamente un reddito pari a 5 volte quello della metà meno abbiente. Oggi queste differenze sono cresciute in modo impressionante: la differenza tra l’1% più ricco e la metà meno abbiente è raddoppiata, siamo a più di 20 volte l’uno il reddito dell’altro; mentre con il 10% più benestante la differenza è cresciuta da 5 volte a 8 volte il reddito l’uno dell’altro.

Dagli anni Ottanta oggi, dunque, la distribuzione dei redditi ha accentuato le diseguaglianze tra una minoranza più ricca rispetto alla maggioranza della popolazione.

 
 
 
La situazione attuale

L’ultimo grafico che proponiamo, il GRAFICO 5, ripropone gli stessi dati, ma in tre diagrammi distinti. Ciascuno ha una scala proporzionata all’andamento della curva. In questo modo si può meglio apprezzare, nel grafico a destra, l’andamento proprio del reddito della metà di popolazione meno abbiente. Nel grafico 4 questa curva appariva schiacciata e sostanzialmente invariante, rispetto alle grandi dimensioni degli altri redditi. Se però ci basiamo su assi proporzionati alle dimensioni del reddito di ciascuna fascia, emerge che, mentre le prime due fasce dopo il 2007 hanno conosciuto degli alti e bassi, ma non sono mai scesi sotto i livelli del 1996, la metà di popolazione meno abbiente ha conosciuto un autentico tracollo dei propri redditi, che nel 2020 sono precipitati addirittura sotto i livelli del 1980 e nel 2021 sono risaliti soltanto sopra i livelli del 1984!!!!! Una limpida dimostrazione dell’aumento delle diseguaglianze nella distribuzione dei redditi.

Per metà della popolazione italiana, la pandemia ha costituito un’assoluta tragedia e un precipizio delle proprie condizioni di vita. Un precipizio che le due minoranze esaminate non hanno minimamente conosciuto.

 

Confronto dell'andamento dei redditi medi per fasce di popolazione
GRAFICO 5: confronto dell’andamento dei redditi medi per fasce di popolazione (Fonte: L’Irriverente su dati World Inequality Database) – visualizza il grafico interattivo

 


 
Conclusioni

Proviamo, allora, a riepilogare.

Dagli anni ’50 a oggi la ricchezza prodotta nel paese si è letteralmente moltiplicata. Abbiamo conosciuto una crescita costante fino al 2007, quando, in seguito alla crisi internazionale, la nostra capacità di produrre ricchezza si è arrestata. La crisi pandemica ci ha colto impreparati e tutt’oggi non siamo più riusciti a recuperare i livelli precedenti alla crisi del 2007.

La quota di PIL distribuita in reddito è ovviamente cresciuta di pari passo con il PIL stesso, con la differenza che gradualmente la quota ad esso dedicata è cresciuta sempre di più: al crescere del PIL i redditi sono sempre cresciuti di più degli investimenti. Questa circostanza è rimasta invariata anche negli anni di crisi, dal 2007 in avanti.

I dati proposti dal World Inequality Database dimostrano che non solo si sono sacrificati gli investimenti a favore dei redditi. Quel che è peggio è che i maggiori redditi distribuiti non sono stati utilizzati per assottigliare le diseguaglianze nel paese. Al contrario. Le si sono acuite! Si è rinunciato a investire nel paese, a creare infrastrutture, a migliorare la capacità produttiva delle imprese, a migliorare la formazione e la scolarità delle persone, al solo scopo di arricchire sempre più la minoranza già più ricca del paese. Situazione che in questi ultimi anni di crisi si è acuita in forme sconcertanti. L’ingordigia di questa élite, che costituisce il ceto dirigente del paese, è la causa prima del suo soffocamento e della sua incapacità di crescere. E della diseguaglianza della distribuzione dei redditi.

 
 
 
Come siamo arrivati a questo punto?

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, è come se, riemersa dalle macerie di una guerra che aveva raso al suolo il Paese, negli anni Cinquanta, un ceto dirigente formatosi nelle scuole di un regime autoritario, razzista e liberticida, avesse maturato la consapevolezza del proprio ruolo, che era anzitutto quello di prendere per mano il Paese e aiutarlo a rialzarsi. Nei primi anni Settanta, non solo la ricchezza era più equamente distribuita, rispetto a oggi, ma anche il livello d’istruzione generale, molto cresciuto rispetto al passato, apriva possibilità di riscatto sociale infinitamente superiori. Se il livello di reddito di metà della popolazione era meno distante dall’1% più ricco, significa che anzitutto nelle imprese la ricchezza prodotta si distribuiva di più.

Da allora, qualcosa è cambiato. La maggiore agiatezza diffusa in un paese libero e democratico e il più alto livello di scolarità, invece di aumentare la consapevolezza del proprio ruolo da parte dei ceti dirigenti, ne ha esaltato l’atteggiamento da parvenu arricchito, come un’accolita di Mastri Don Gesualdi abbarbicati alla roba. Oggi nelle aziende non esiste minimamente il concetto di equità nella distribuzione della ricchezza prodotta: prima di tutto vengono le aspettative degli investitori e le pretese dei quadri dirigenti di più alto livello. In Volkswagen, per esempio, il Consiglio di Amministrazione prevede al proprio interno anche la rappresentanza sindacale di chi in azienda ci lavora. Quante aziende in Italia applicano un principio simile? Quante ammettono che anche chi ci lavora (e non solo chi apporta capitale) sia partecipe dell’amministrazione dell’azienda? Quante consentono che anche ci vi lavora abbia un ruolo nelle scelte redistributive e nella selezione di chi l’azienda dovrà amministrare?

È anzitutto nelle aziende, là dove la ricchezza si crea, che deve maturare una cultura di contrasto alle diseguaglianze nella distribuzione dei redditi.

 
 
 
La ricchezza come responsabilità

Il problema della distribuzione della ricchezza non è tanto, né soltanto una questione politica. È anzitutto un problema di mentalità degli altissimi ceti dirigenti del paese, politici, industriali, sindacali, giornalistici, formativi. La ricchezza non è una colpa. Il più delle volte, anzi, è il frutto di duro lavoro, fatica e dedizione. Tuttavia, è sempre anche una responsabilità. È responsabilità dei ceti più ricchi nei confronti di chi è meno fortunato. È responsabilità delle società più ricche nei confronti di quelle che lo sono meno. È responsabilità perché a quella ricchezza corrisponde sempre, in un modo o nell’altro, un ruolo decisionale.

È questo senso di responsabilità dei ceti dirigenti del Paese che, dagli anni Ottanta, sembra essersi gradualmente vaporato. Fu invece anche questo senso di responsabilità una delle chiavi del boom degli anni Cinquanta e Sessanta. In quegli anni non solo la ricchezza si distribuiva di più, ma una quota rilevante di quel reddito che oggi le élite conservano come reddito proprio, era allora, sempre dalle stesse élite, investito nel Paese, per la crescita del Paese.

Oggi queste élite dedicano questa ricchezza solo alla soddisfazione della propria ingordigia. E ancora di più ciò avviene in tempi di crisi, in cui ancora maggiore dovrebbe essere il senso di coesione nel Paese. Eppure sono proprio queste élite che hanno la responsabilità e il potere di invertire il corso delle diseguaglianze nella distribuzione dei redditi.

 
 
 
Mal comune mezzo gaudio?

Non vorremmo dare un’impressione sbagliata. Le diseguaglianze derivanti dalla distribuzione dei redditi in Italia non è peggiore che in altri Paesi. Tutt’altro. Buona parte dei Paesi Europei hanno sostanzialmente la stessa diseguaglianza dei redditi che si riscontra in Italia. È così in Germania, in Francia, nei Paesi Scandinavi. In Canada, negli Stati Uniti, in Australia, la situazione è assai peggiore che da noi. Non parliamo dei cosiddetti Paesi Emergenti. In Brasile, in Cina, in India, la situazione è molto peggiore che da noi. In Russia o nei Paesi Africani o del Sud America c’è solo da mettersi le mani nei capelli. Certamente, dedicheremo un approfondimento a questo tema in futuro.

Tuttavia, il fatto che le diseguaglianze nella distribuzione dei redditi in Italia sia, tutto sommato e paradossalmente, una delle più eque al mondo, non toglie nulla alla questione di fondo. Dagli anni Settanta a oggi le diseguaglianze della distribuzione dei redditi in Italia è dannatamente peggiorata, è aumentata la ricchezza delle élite a discapito della maggioranza del paese e degli investimenti nel futuro del paese. Ciò significa che una maggiore equità è possibile. Questo è un problema di cui il ceto dirigente del paese ha l’imperativo categorico di farsi carico, perché è questo il ceto che gestisce la ricchezza prodotta nel paese. E dunque anche le diseguaglianze della distribuzione dei redditi. Piaccia o no, tale equità costituisce una sua ricchezza fondamentale. È la sua domanda. È il traino della sua economia.

 

Grafici elaborati in Tableau Public
© L’Irriverente, 2022

 

 

[1] Il suo sito, wid.world, mette a disposizione non solo i dati, ma anche una quantità di grafici interattivi.

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