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Ubuntu: la riconciliazione del Sudafrica del 27 aprile 1994

Il 27 aprile 1994 in Sudafrica si tennero le prime elezioni libere. E ciò che ne conseguì fu uno degli eventi più stupefacenti nella storia dell’umanità. Pressoché ignorato in Italia. Eppure, una grande lezione.

Molto probabilmente pochissimi conoscono la parola ubuntu. E pochissimi ricordano che cosa accadde il 27 aprile 1994. In Italia eravamo accecati da tangentopoli. Un aberrante spirito di vendetta, che inquina ancora oggi l’animo del Paese. Eppure, quel giorno accadde qualcosa nel mondo che fu esattamente l’altra faccia della luna. Ubuntu, la riconciliazione. Una lezione che avremmo dovuto ascoltare e a cui rimaniamo sordi tutt’oggi. Lo spettacolo sconfortante delle recenti polemiche sul 25 aprile ne sono una lapalissiana dimostrazione.

 

 

Che cosa accadde il 27 aprile 1994?

Il termine ubuntu viene dalla lingua bantu, una lingua dell’Africa sub-sahariana. Spesso è tradotto con compassione. Indica l’atteggiamento di chi guarda il mondo con gli occhi dell’altro, ascolta il punto di vista e le ragioni dell’altro. Questo atteggiamento è alla base della storia del 27 aprile 1994.

Che avvenne, dunque, quel giorno? Si tennero le prime elezioni libere a suffragio universale del Sudafrica. Fu il giorno in cui il paese uscì ufficialmente da oltre un secolo di apartheid, di segregazione razziale. Per la prima volta fu eletto nel Paese un presidente nero, Nelson Mandela. Il processo che aveva condotto a quella data aveva avuto come protagonista, tra gli altri, Frederik de Klerk, bianco, presidente del Sudafrica dal 1989. De Klerk fece qualcosa di pressoché unico nella Storia: si adoperò affinché si tenessero quelle elezioni, pur sapendo che così le avrebbe perse. Di fatto, fece, coscientemente, tutto il possibile per perdere la posizione di potere su cui sedeva. Quanti ne conoscete di casi simili???? Non a caso, De Klerk e Mandela erano stati insigniti insieme del premio Nobel per la pace l’anno precedente.

 

 

La Commissione per la Verità e la Riconciliazione

Uno dei primi atti compiuti da Mandela fu la costituzione, nel 1995, della Commissione per la Verità e la Riconciliazione. La Commissione fu presieduta dall’arcivescovo anglicano nero Desmond Tutu e composta da 17 membri, tra gli uomini e le donne più illustri del Paese, di ogni etnia, gruppo linguistico o religione. Per 3 anni raccolse testimonianze sulla violazione dei diritti umani nel Paese dal 1960. Lo scopo era quello di creare un percorso di uscita dall’apartheid fondato sull’ubuntu: portare vittime e carnefici l’uno dinanzi all’altro, indurli a parlarsi, affinché l’uno ascoltasse i torti subiti dall’altro. E ciascuno riconoscesse le ragioni dell’altro. Il punto di arrivo doveva essere la riconciliazione tra vittima e carnefice: il carnefice riconoscendo il male compiuto, la vittima riconoscendo l’umanità del carnefice, in cui ritrovava una persona diversa dall’uomo che le aveva procurato dolore.

Non sempre, ovviamente, l’operazione riuscì. Furono tantissimi i casi in cui non vi fu alcun pentimento, o in cui le vittime non riuscirono a superare il dolore. Ma furono assai di più i casi che si conclusero con un abbraccio tra vittime e carnefici. E quei momenti divennero il collante di un Paese nuovo.

 

Il senso della riconciliazione

Le sedute della Commissione si tennero in diretta televisiva. Il Paese intero, incollato allo schermo, poté assistere e partecipare a quel processo di riconciliazione collettiva. Per la prima volta bianchi e neri, ricchi e poveri, abitanti delle città e delle campagne, tutti ascoltarono l’uno le sofferenze dell’altro, le gioie dell’altro, le frustrazioni e le ambizioni dell’altro. E si compresero. Sciogliendo l’odio e il risentimento.

Un paese che era stato dilaniato per oltre un secolo, in cui una minoranza bianca si era imposta sulla maggioranza nera con forza brutale; brutalità a cui la maggioranza nera aveva spesso reagito con atti di ferocia, spesso perpetrati contro i soggetti più deboli della minoranza bianca, reagendo così alla brutalità con brutalità. Atti che, naturalmente, finivano solo per provocare ulteriore brutalità dalla minoranza bianca, che se ne sentiva legittimata.

I ceti dirigenti del Paese, sia quelli della minoranza sia quelli della maggioranza, capirono che per ricostruire il Paese era necessario anzitutto cambiare non tanto la testa, quanto il cuore delle persone, indurle alla reciproca empatia, all’ascolto, all’identificazione l’uno nell’altro. Ubuntu. Fu questa azione di ricucitura, compiuta dai ceti dirigenti di entrambe le parti, spesso contro lo spirito di risentimento delle parti stesse, a riunire il Paese. Furono loro, i ceti dirigenti, i primi a dare l’esempio, furono loro a guidare il processo, affinché si assumesse uno sguardo diverso nei confronti di coloro che, fino a quel momento, si era considerato nemico. Fu la guida di questi ceti dirigenti a indurre la pacificazione in tutto il Paese.

 

Una lezione perduta

Si provi ora a confrontare quanto accadde quel 27 aprile con ciò che accade nel nostro Paese. Che sia tangentopoli o il 25 aprile, che siano i comizi o i dibattiti televisivi, è sempre un tripudio al risentimento, all’additamento dell’altro, alla distorsione dei fatti per costruirsi un nemico e farne bersaglio.

Il Sudafrica del 27 aprile 1994 è la grande lezione perduta. Traccia una via. Quella di ubuntu. Un modo diverso di fare giustizia e superare i conflitti. È l’ascolto e la riconciliazione. Ma i primi che sono tenuti a tracciare quella via sono i ceti dirigenti (di tutte le parti politiche) e i ceti intellettuali (di qualunque pensiero). Se non sono loro a indicarla, come potrà esserci riconciliazione nel nostro Paese?[1]

 

© L’Irriverente, 2023

 

 

 

 

 

[1] Sul web si possono trovare una quantità di video che mostrano le deposizioni originali della Commissione per la Verità e la Riconciliazione. C’è anche il sito della Commissione, ancora operativo, in inglese: https://www.justice.gov.za/. Il rapporto finale è liberamente consultabile e scaricabile: https://web.archive.org/web/20130925051325/http://www.info.gov.za/otherdocs/2003/trc/. Nell’immensa bibliografia sul tema, il testo che mi sento di consigliare è quello di Desmond Tutu, il presidente della commissione, intitolato No Future Without Forgivness. È un libro di circa 200 pagine, di gradevole lettura, che sintetizza in modo mirabile e toccante i lavori della Commissione. La traduzione italiana, Non c’è futuro senza perdono, edita da Feltrinelli, naturalmente non è più a catalogo, ma certamente in molte reti bibliotecarie è ancora disponibile.

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